l'inchiesta sul comune

Pastore ad Amato: «Il consiglio va sciolto»

Il senatore forzista attacca D’Alfonso. Luciani risponde: «Merita cento querele»

PESCARA. Pastore sferra l’attacco finale contro D’Alfonso: troppe inchieste sul Palazzo, il consiglio comunale dev’essere sciolto. Il senatore di Forza Italia si rivolge così al ministro dell’Interno, Giuliano Amato. Ma il Comune non resta zitto. Il sindaco delega l’assessore Massimo Luciani a rispondere e questi sbotta: «Pastore merita cento querele». Tra sindaco e senatore le querele ci sono già state quando, il 23 aprile scorso, il primo, rivolto al secondo, ha esclamato in consiglio comunale: «Qui ci vorrebbe uno schiaffo al tuo faccione». Ma ora siamo nel momento più delicato della vita della giunta di D’Alfonso finita sotto la lente di ingrandimento di un pool di magistrati che indaga sull’Urbanistica e ha messo sott’inchiesta imprenditori, dirigenti comunali e un politico. Uno «scioglimento immediato» del consiglio comunale motivato da asseriti «rapporti ambigui» tra politica ed imprenditoria. Si legge così nell’interrogazione al ministro dell’Interno del senatore e coordinatore regionale di Forza Italia che ricostruisce tutte le indagini della procura sul Comune nei quattro anni di D’Alfonso e «invita il Governo ad assumere un provvedimento tanto drastico, quanto ormai non più rinviabile, ossia lo scioglimento immediato del consiglio comunale di Pescara».

ECCO L’INTERROGAZIONE. Due pagine che per Luciani sono da querela, ma Pastore è comunque coperto da immunità parlamentare. Ecco cosa scrive il senatore forzista. «Premesso che: l’amministrazione comunale di Pescara è ormai da tempo al centro di numerose indagini giudiziarie avviate dalla Procura della Repubblica; dette indagini hanno determinato l’emissione di numerosi avvisi di garanzia, perquisizioni, sequestri di documenti; le indagini riguardano: la gestione del verde pubblico, con coinvolgimento dell’assessore del settore (Rudy D’Amico, ndr) che si è dimesso, di dirigenti e numerose cooperative sociali; la gara per la riqualificazione dell’area di risulta dell’ex stazione ferroviaria che, oltre all’indagine giudiziaria, ha portato ad un provvedimento di pesante censura da parte dell’autorità di vigilanza sui contratti pubblici; la gestione dell’impianto comunale di depurazione, affidata a privati (la società Dino Di Vincenzo, ndr) ma soggetta a vigilanza comunale, coinvolta in un presunto traffico di fanghi inquinanti; le attività attinenti il settore edilizio e segnatamente di un certo numero di operazioni di edilizia contrattata, per le quali si profilano imputazioni di corruzione/concussione, abuso d’ufficio, finanziamento illecito dei partiti; in particolare nei giorni scorsi è stato reso noto che il dottor Guido Dezio, già principale collaboratore del sindaco Luciano D’Alfonso e oggi altresì dirigente del Comune di Pescara, risulta indagato anche in relazione alle indagini sopra richiamate - per corruzione e abuso; in particolare quest’ultimo fatto attiene all’intermediazione che il collaboratore del sindaco di Pescara ha svolto fra parti private (imprenditori e il precedente vescovo di Pescara) per la cessione di beni ed immobili e annessi servizi di assistenza agli anziani; nello specifico proprio il sindaco, appresa la notizia delle indagini a carico del suo collaboratore, nel corso di una conferenza stampa alla presenza dello stesso Dezio, ha reso nota una lettera - scritta a mano dal vescovo (Francesco Cuccarese, ndr) - con la quale quest’ultimo delegava Dezio (nella sua qualità di collaboratore del sindaco e senza alcun compenso) ad intervenire con pieni poteri in una intermediazione immobiliare privata conclusasi per una cifra di oltre 5 milioni di euro. Tale delega, altrimenti immotivata, appare più semplicemente voler celare dietro un collaboratore politico un intervento diretto del sindaco di Pescara in una vicenda, occorre ribadirlo, di carattere meramente finanziario e svolta fra imprenditori privati sia pure operanti nell’ambito del sociale nell’area metropolitana di Pescara; è del tutto evidente l’inopportunità e l’irritualità di un simile comportamento del primo cittadino...», prosegue l’interrogazione ad Amato che termina con accuse molto pesanti. Pastore, infatti, traccia una sorta di parallelo, tutto però da dimostrare, tra Pescara e l’inchiesta di Montesilvano. Accuse che il Comune pescarese definisce diffamatorie.

LE RICHIESTE AL MINISTRO. Sta di fatto che il forzista chiede ad Amato: «Se è a conoscenza dei fatti narrati e quali opinioni si sia formato in merito; se il ministro non ritenga di dover intervenire stante le proprie competenze e vista la complessità della situazione; se non ritenga di dover disporre secondo le procedure più idonee ogni azione che porti urgentemente allo scioglimento dell’amministrazione comunale di Pescara per le gravi situazioni sopra riferite, avvalendosi di quanto previsto dalla vigente normativa (l’articolo 141 del testo unico sugli enti locali)».

LA RISPOSTA DEL COMUNE. Ma D’Alfonso delega l’assessore Massimo Luciani a rispondere. E questi dice che «l’interrogazione del senatore Pastore al ministro dell’Interno è un’operazione di diffamazione a mezzo di mandato parlamentare, di cui l’esponente di Forza Italia si fa scudo per sostenere affermazioni tali da meritare non una ma cento querele». «Siamo indignati per l’oltraggio che Pastore fa a un’istituzione seria come il Comune di Pescara, che in tutti questi anni si è impegnata solo per fare fronte ai tanti problemi della città che gli amici del senatore avevano ingigantito nei loro improduttivi anni di governo», ha dichiarato Luciani. «L’offesa che Pastore reca in questo modo all’amministrazione e alla città», ha aggiunto, «si rovescia anche sulla sua parte politica che si vanta di un’ispirazione liberale e quindi garantista. Seguendo il principio invocato oggi dal senatore il governo Berlusconi non avrebbe potuto nemmeno entrare in carica». «Pastore», sostiene inoltre Luciani, «si fa beffa del garantismo, arrivando persino ad ignorare che un’attività di indagine della magistratura è tesa solo a rilevare cosa è successo e se quanto è successo si è svolto nel rispetto della legge». La conclusione di Luciani è ironica: «Ovviamente riesce a sottrarsi al controllo della magistratura chi non fa niente, poiché il nulla non è accertabile». Luciani si chiede cos’abbia fatto Pastore per Pescara e l’Abruzzo in 11 anni di permanenza a Palazzo Madama. E chiude: «A voler essere pignoli l’unico caso che si può citare è quello a favore dei parenti del Duca degli Abruzzi, ovvero la famiglia di Vittorio Emanuele di Savoia, rientrata in Italia grazie all’impegno del senatore».