Pavone, ecco i fucili compatibili con lo sparo

I risultati balistici individuano una dozzina di armi tra cui quella del vicino che potrebbero aver esploso il colpo contro l’ingegnere ancora in coma

PESCARA. Si stringe il cerchio sull’arma che ha lasciato in fin di vita l’ingegnere informatico Carlo Pavone la sera del 30 ottobre in via De Gasperi. I primi esiti degli accertamenti balistici sul proiettile estratto dal cranio del povero 42enne ancora in coma nel reparto di Rianimazione dell’ospedale civile, e sul fucile Flobert calibro 9 sequestrato al vicino di casa cacciatore, hanno rivelato una compatibilità di massima con questa e con un’altra dozzina di armi. Si tratta di fucili e pistole da caccia e da tiro sportivo che utilizzano calibri leggeri e per alcune delle quali, fino a qualche anno fa, non era richiesto neanche il porto d’armi.

È questa la prima risposta che, se non racconta nulla di decisivo agli investigatori, di fatto conferma la linea cavalcata sin dall’inizio dai carabinieri del Nucleo operativo coordinati dalla pm Anna Rita Mantini. E cioè che a sparare al povero ingegnere non è stato sicuramente un professionista, un killer arrivato per uccidere, ma qualcuno che, o per impeto o per vendetta, ha colpito Pavone alla testa con un’arma di fatto facilmente reperibile.

Questo primo accertamento non libera però dai sospetti il vicino di casa cacciatore proprietario dell’unica arma finora sequestrata. Un pensionato rimasto vedovo da poco che abita un centinaio di metri più su della villetta della famiglia Pavone e che al Centro nei giorni scorsi ha ripetuto quanto dichiarato ai carabinieri. E cioè che Pavone non lo conosceva e che quella sera non si trovava in via De Gasperi in quanto, dalle 18 e fino alla mezzanotte, era stato a casa del figlio a Pescara. (s.d.l.)

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