Pesca, la rivoluzione delle reti

La rabbia degli armatori: «Inutili le maglie larghe»

PESCARA. «Il mare Adriatico non è l'oceano Atlantico, qui si vive pescando i pesci piccoli e cioè gli scampi, i calamari, i cannolicchi». Mario Camplone, amministratore dell'associazione degli armatori di Pescara, dà l'addio alla frittura di paranza perché sfugge alle reti dalle maglie più larghe.
Il regolamento Mediterraneo adottato dalla Commissione europea per tutelare le specie a rischio entra in vigore tra 24 ore. Primo: reti da pesca a maglie più larghe per salvare i pesci piccoli. Secondo: nuove distanze da rispettare per la pesca sotto costa. Terzo: sanzioni penali per chi sgarra.

LE RETI LARGHE.
La rivoluzione che interessa la marineria è concentrata nella misura delle reti: si cambia il formato che passa, da maglie di 25 millimetri, a 40. «Una misura incredibile, tre dita di una mano», spiega Gabriele Correntini, comandante del Riccardo I, «la Commissione europea ha fatto un regolamento come un sarto che cuce un vestito senza prendere prima le misure. Ecco perché la normativa non può valere anche per l'Adriatico: più che un mare è un lago».

LE MAGLIE.
Cambia anche la forma delle maglie: dal rombo si passa al quadrato. Per i pescatori, è una iattura: «La maglia a rombo, quando la rete si riempie, diventa più tesa e stretta e riesce ad accogliere più pescato», spiega Camplone, titolare dei pescherecci Nuova Zita e Iolanda Madre, «mentre con la forma quadrata, questo effetto restringente scompare e così la cattura dei pesci piccoli viene evitata ma si tratta del prodotto principale della pesca regionale. Niente frittura di paranza, niente scampi, niente cannolicchi», è la sintesi che spaventa pescatori, pescivendoli e ristoratori.

LA SPESA.
Il prezzo delle reti oscilla tra i 10 e i 15 euro al chilo: ce n'è bisogno almeno di cento chili per barca. Il prezzo, allora, parte da 1.500 euro. «Ma con le reti larghe», spiega Lucio Di Giovanni, presidente dell'associazione armatori, «non si risolve il problema di tutelare le specie a rischio. È una perdita di soldi e di tempo. Bisogna salvare il novellame con altre misure».

LE MULTE.
Ma domani si comincia tra i dubbi dei pescatori e con una certezza: «La direzione marittima ha annunciato controlli e senza tolleranza», dice Camplone. La normativa europea non consente deroghe: è vietato pescare i pesci piccoli ed è vietato venderli, comprarli e cucinarli. «Chi pesca specie ittiche sotto misura deve rigettarle in mare altrimenti rischia una multa», spiega Camplone. Non si scherza perché, a ogni infrazione, sulla marineria pende una multa che parte da duemila euro. Non solo, c'è anche il rischio di una denuncia penale: addio alle specialità abruzzesi. Di fronte ai divieti dell'Europa, anche la marineria, un settore che fa dell'elasticità una regola di base, deve adeguarsi. Vendere sottobanco una cassetta di pesce per farlo fritto, è un rischio: salta anche l'ipotesi del «contrabbando della scafetta».

CARO GASOLIO.
Escluse manifestazioni di protesta per ora: «La categoria», spiega Di Giovanni, «è ridotta al minimo e non si può fare lo sciopero perché significa rinunciare a una giornata di pesca». «La categoria ci rimette», è certo Camplone, «perché alle spese maggiori è necessario aggiungere il mancato guadagno. Il guaio», aggiunge, «è che i problemi dei pescatori sono irrisolti». Camplone si riferisce al caro gasolio: un litro di gasolio costa circa sessanta centesimi al litro. «In dodici ore di lavoro, una barca di medie dimensioni ne consuma circa cinquecento litri. Sono i primi trecento euro andati in fumo per lavorare». Il secondo nodo è il dragaggio: «I fondali sono bassi e sono un pericolo per le imbarcazioni. Basta aspirare fango dai motori per provocare danni di migliaia di euro».

MOLO NEL DEGRADO.
La sintesi dei pescatori è semplice: «Chi fa le regole non capisce del mestiere», dice Camplone che mostra altri due esempi sul molo nord e cioè il rubinetto dell'acqua attaccato alle prese per la corrente elettrica e i banchi di vendita per le scafette ammassati come rifiuti. E così le prese di corrente non funzionano e i banchi di vendita, troppo pesanti per essere spostati, sono dimenticati da tre anni e mai usate. Il fermo biologico della pesca con trenta giorni di blocco è un altro problema all'orizzonte: la proposta di Di Giovanni è un fermo ad personam. «Ognuno si ferma, per trenta giorni, quando vuole. È il modo giusto per evitare il blocco della filiera e le importazioni dal Tirreno». «Tenere la barca ferma, ha un costo», spiega anche Lucio Fagone, armatore con La Ninfa.
Pescara protesta ma in silenzio: «Da tre anni, a Pescara si pesca tre giorni a settimana, nel Tirreno si lavora cinque giorni su sette», spiega Di Giovanni, «perdiamo 85 giorni di pesca all'anno, due mesi e mezzo di fermo che ci imponiamo per difendere il mare. Purtroppo, non ne tiene conto nessuno».

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