Pescara, Alessandrini allontana l’ombra di Big Luciano: il sindaco sono io

l primo cittadino racconta il suo rapporto con D’Alfonso e respinge ogni ipotesi di ingerenza: i voti che ho preso sono solo miei, sento una maggiore consonanza semmai con "Zeus” Legnini

PESCARA. Non è certamente una presa di distanza, anzi. «Da lui ho appreso come ci si rapporta con le persone, come le si ascolta e come poter essere capace di dire una parola a tutti. Per questo, è un maestro. Ma io sono il sindaco di Pescara e lui è il presidente della Regione». E lui, è ovvio, è «mister Big», come l’ha soprannominato.

Eh già, perché Marco Alessandrini, il neosindaco di Pescara, ha l’abitudine di affidare a ciascuno un soprannome e se a Luciano D’Alfonso ha appioppato questo nickname, ce n’è uno anche per il sottosegretario all’Economia, Giovanni Legnini, denominato «Zeus». Ma non si tratta, per D’Alfonso, come qualcuno avrà forse immaginato, di un riferimento a qualche personaggio del cult movie di Quentin Tarantino Le Lene (Mister Blue, Mister White ecc.), dunque roba da quasi cultori della settima arte. Il modello, invece, è molto più «dem», com’è nell’indole alessandrina.

«Lo chiamo mister Big», spiega il primo cittadino, tra un impegno e l’altro, al Caprice di Fabrizio Camplone, mentre divora due tramezzini e sorseggia due bicchieri di coca cola (più un gelato come dessert), «perché mi ricorda l’attore che impersona un personaggio di Sex and the City», fa notare riferendosi alla serie televisiva andata in onda, qualche anno fa, su La 7, nella quale Chris Noth (D’Alfonso- mister Big) impersona un economista facoltoso (così recita Wikipedia alla voce dedicata).

«Per il resto, con mister Big», come Alessandrini chiama il «governatore» durante quasi tutta l’intervista, anche per sottolinearne la capacità «presenziale», «ubiqua», «io non ho rapporti quotidiani. Io sono il sindaco di Pescara», sottolinea di nuovo Alessandrini, per sgombrare il campo da ogni ipotesi di eterodirezione, «e lui è il presidente della Regione. E i voti che io ho preso, sono voti miei».

Insomma, tanto per essere sempre più netti, «io ho una mia dignità politica che è solo mia. Poi è chiaro che ci saranno delle possibilità di incrocio», continua Alessandrini. «Penso alle questioni dell’ex Cofa, al mercato ortofrutticolo, che è della Regione, com’è pure della Regione l’ex Fea, la stazione del tratto ferroviario che congiungeva Pescara a Penne. Ma poi penso anche agli altri luoghi problematici di Pescara, come il fiume e il porto. E fare alleanze con la Regione», continua, «è un’opportunità. Poi, ripeto, lui fa il presidente della Regione e io il sindaco di Pescara».

Un mantra che convince, anche alla luce del rapporto ambivalente, Alessandrini-Mister Big, che se non apparisse blasfemo, potrebbe essere paragonato a quello spirito della Pentecoste che è appena trascorsa e che chiude il periodo pasquale: io parlo la mia lingua, ma tu la intendi attraverso la tua. E viceversa. Il top del liberalismo, dove l’eccezionalità di ciascuno è salvaguardata nella diversità del molteplice. Per il resto, è già «storia» il saliscendi nel binomio tra le due vite diversamente parallele.

«Durante il periodo della mia candidatura di cinque anni fa», rammenta Alessandrini, prima di alzarsi dalfonsianamente per andare a salutare, presentandosi, due signore sedute a un tavolino del locale dove sta consumando frugalmente il pranzo, e poi, in successione, un signore intento a leggere un giornale, «mi sono sentito buttato allo sbaraglio. Ma è anche vero che all’indomani di una riunione nella quale io intervenni per far capire a tutti che non avevo intenzione di essere una foglia di fico, il giorno dopo fu proprio lui a telefonarmi».

Quel Mister Big che caratterialmente è lo zenit del nadir-Alessandrini, e che, «a pelle», quantomeno in un’ipotetica scala che misuri un idem sentire, è superato da «Zeus». «Da questo punto di vista», riflette Alessandrini, appena dopo aver elargito l’elemosina ad una ragazza che gli chiedeva denaro (senza averlo riconosciuto), confidandogli che da tempo il suo datore di lavoro non la paga, «mi sento più vicino a Legnini. Anche sul palco, durante gli ultimi comizi, ho avvertito più consonanza con “Zeus”, che non invece con mister Big, molto più irruente».

Con mister Big che sembra fare le viste più al leader comunista Fidel Castro, obietterebbe uno studioso del linguaggio politico, che non invece ad un big proveniente dalla Democrazia cristiana che fu. «Mister Big è capace di parlare per quattro ore di seguito», glossa Alessandrini, rimarcando la sua differente visione del mondo dall’«onnipresente» inquilino di palazzo Silone, all’Aquila.

«Io invece non riesco a sopportare neanche la mia voce». Dna antropologicamente agli antipodi, in uno zeitgast, lo spirito del tempo, che soffia nella stessa direzione. «Per l’amore che ho per Pescara», chiosa Alessandrini avviandosi verso il suo studio professionale.

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