Pescara, il processo Fira cancellato dalle prescrizioni

Il tempo azzera 153 capi d’imputazione e fa uscire Angelini. La requisitoria del pm Tedeschini: "Una banda di truffatori"

PESCARA. «Una banda di truffatori, una squadra che ha realizzato il meccanismo delle truffe: un sistema di arricchimento e di potere»: è il sigillo del procuratore aggiunto Cristina Tedeschini all’inchiesta Fira, la truffa alla Regione da 16 milioni di euro con i fondi Docup, che ieri è arrivata alle battute conclusive con il primo tempo della requisitoria. Una conclusione, però, tardiva che arriva a sette anni di distanza dagli arresti dell’inchiesta madre, quella che ha fatto da battistrada al processo sanità, ma decapitata dalla prescrizione: su 157 capi di imputazione solo quattro hanno resistito al tempo, ovvero l’associazione per delinquere, due truffe e un reato di ricettazione. Se il fascicolo che portò al primo arresto dell’ex presidente della Fira Giancarlo Masciarelli è stato, in tempi recenti, il primo terremoto che si è abbattuto su imprenditori e dirigenti è anche quello, però, che ha trovato come nemico il tempo, gli anni trascorsi che faranno uscire moltissimi imputati tra cui l’ex titolare di Villa Pini Vincenzo Maria Angelini accusato di aver ricevuto fondi Docup per 300 mila euro.

A restare in piedi sarà il nocciolo dell’inchiesta, il reato di associazione per delinquere su cui ha battuto il pm Tedeschini descrivendo i presunti associati come «una banda di truffatori», sottolineandone «il modus operandi da banda organizzata» quella a cui, per l’accusa, avrebbero partecipato l’imprenditore lancianese Marco Picciotti insieme a consiglieri e amministratori di società come Paolo De Michele, Giovanni Cirulli e Silvio Vittorio Cirone. Le richieste per i 27 imputati e le 36 società arriveranno nella prossima udienza di martedì 1° ottobre quando a prendere la parola sarà il pm Anna Rita Mantini che presenterà le conclusioni.

Intanto, nell’udienza di ieri di fronte al collegio presieduto da Massimo De Cesare, hanno preso la parola anche gli avvocati delle parti civili: Vittorio Manes che difende la Regione e che ha chiesto una provvisionale di un milione e mezzo di euro e Marcello Russo, legale della Fira, che ha chiesto un milione di euro.

L’inchiesta Fira è legata, per l’accusa, ai soldi pubblici che sarebbero stati elargiti a società di amici e parenti degli imputati attraverso l’ex finanziaria regionale «con la cabina di regia di Giancarlo Masciarelli», come ha ricordato anche Tedeschini riferendosi spesso all’ex presidente della Fira, l’uomo del “partito dei soldi” come disse in un’intercettazione e il manager che ha patteggiato, per questo e per il processo sanità, tre anni e quattro mesi. «Chi doveva controllare non controllava», ha proseguito Tedeschini, «un modus operandi a suo modo sciatto, pieno di errori e falle vistose che ha potuto avere successo solo per l'organizzato collasso di qualsiasi sistema di controllo capace di sfuggire all'azione del gruppo».

In aula, ieri, c’erano pochissimi imputati tra cui l’imprenditore Picciotti e l’ex assessore regionale alla sanità Vito Domenici, il politico che ha dato il proprio nome alla legge regionale sui capannoni, la normativa che secondo l’accusa sarebbe stata utilizzata per far arrivare denaro a imprese amiche.

Per l’ex assessore resta in piedi l’accusa di ricettazione perché, per i pm, Domenici avrebbe «ricevuto, consapevole della loro provenienza illecita perché provento di truffe ai danni della Regione e della Comunità europea, somme in contanti per importi non quantificabili con esattezza ma di certo non inferiori al milione di euro».

Per l’accusa, l’ex assessore di centrodestra finito anche nell’inchiesta sanità, quel denaro «avrebbe dovuto essere destinato all’illecito finanziamento di Forza Italia». In aula, si torna il 1° ottobre con le richieste affidate al pubblico ministero Mantini.

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