Pescara, lo sfogo di D’Alfonso: "Assolto dopo 4 anni d’inferno per fortuna ci sono i processi"

13 Febbraio 2013

L’ex sindaco si sfoga dopo che il tribunale ha cancellato l’accusa di tangenti «Ho subìto troppe cattiverie, potevano essere anni di idee e realizzazioni»

PESCARA. «Quel giorno, in convento, ho chiesto al Signore di aiutarmi ad avere la reazione più giusta e i frati mi hanno consigliato di trovare una via equilibrata. Ah, quanto ho atteso questo momento».

Deve ancora sedimentarsi, in Luciano D’Alfonso, nel suo primo giorno da innocente, quello che è accaduto in questi «quasi cinque anni d’inferno», iniziati con un arresto ai domiciliari il 15 dicembre 2008 e finiti lunedì mattina con una sentenza di piena assoluzione. Non sorride, D’Alfonso, cova una riflessione che però è ancora agli albori nell’uomo accusato di tutto in questi anni e scagionato da 32 capi d’imputazione, indurito da un’esperienza di «dolore, tanto dolore che poi porta al veleno» e da una sentenza che lo lascia con una gioia che non riesce ancora a gestire e per cui dice: «Occorre una lettura laica, la domanda è: quali conseguenze avrà?».

C’è stato in D’Alfonso, poco dopo la decisione del collegio presieduto da Antonella Di Carlo, un inusuale momento di impreparazione: «Che reazione avere?», si è chiesto l’ex sindaco. Ed è anche per questo che si è ritirato nel convento di Leonessa, in provincia di Rieti, per cercare una guida, per trovare un freno alla sua naturale «velocità», alla «potenza del mio entusiasmo», quello stesso ritmo che vorrebbe imprimere alla regione: «Nello statuto della Regione dovrebbe esserci scritto “diritto alla velocità”».

Parla di tutto, l’ex sindaco, delle cose fatte per la città e poi finite nell’inchiesta, del suo rapporto con gli imprenditori che ha tenuto banco per quasi due anni nell’aula 1 del tribunale, ma il suo animo è ancora attendista di fronte a un processo che ha paralizzato la sua vita per quasi cinque anni. D’Alfonso dà del «gran lavoratore» al pm Gennaro Varone, a cui piace ricordare anche: «Non era vero che la confidenza, la cordialità con un imprenditore avesse impedito la mia autonomia: a Varone dissi», ribadisce oggi D’Alfonso ricordando la sua difesa durante un’udienza, «che non avevo mai rinunciato alla genuinità della mia valutazione».

Parla degli imprenditori Toto, l’ex sindaco, che si è sgolato quando venne esaminato il 15 ottobre 2012 per dare una versione diversa da quella dell’accusa, per dire che a Toto lo legava una storica amicizia.

Che cosa D’Alfonso non rifarebbe? Lo disse in quell’udienza al presidente: «Da questo processo sono emersi tanti fatti che non rifarei come la fortissima amicalità con Toto» e l’ha ribadito ieri, guardandosi indietro: «Eviterei la vistosità di certe frequentazioni».

Iniziano da qui i piccoli accorgimenti del politico e la riflessione che, dalla sua storia, vorrebbe estendere alla giustizia: «Ho potuto permettermi un avvocato, Giuliano Milia, bravissimo. Ho avuto a disposizione due studiose, piccole Bongiorno, che hanno fatto un lavoro incredibile. Ma un cittadino che si trova nella mia situazione può permettersi tutto questo?».

Li chiama «pattinatori», «velocisti», i dipendenti del tribunale, dai magistrati ai cancellieri, spesso soccombenti di fronte a cumuli di processi e di carte che «nel mio caso», aggiunge, «sono state lette e comprese». «Non avevo molta fiducia consegnando quelle 400 pagine di memoria ai velocisti» per, poi, liberarsi e sorridere: «Ah, quanto ho atteso questo momento».

L’ex sindaco alterna il tono da comizio, parla al cittadino, porta a esempio le imprese eccellenti in Abruzzo, ricorda le opere fatte per Pescara, alternando al tormento vissuto la rinascita del politico, la gioia per la sentenza all’umore dell’ex imputato: «Cinque anni di inferno», dice l’ex sindaco Pd uscito acciaccato da anni difficili, da accuse che paragona a «zattere» che si sono rincorse, «una ferma e l’altra a inseguire», «a un prisma di cattiverie a cui sono stato sottoposto quando potevano essere anni di idee, di realizzazioni». Vuol ripartire da qui, D’Alfonso, vuol trovare, come dice, «amici che condividano con me il prossimo governo».

Perché l’inchiesta sbocciò? Non vuole sbilanciarsi l’ex sindaco che, in questi giorni, «trova sollievo alle ragioni della sofferenza andando in giro» e che non ha ancora compreso i motivi per cui il 15 dicembre 2008 il suo percorso venne interrotto per errore, come ha sancito la sentenza per lui e per gli altri 23 imputati.

«Perché si accese quella fiammella nel 2005? Non lo so», conclude l’ex sindaco Pd, «non ho ancora individuato il motivo e lo sto cercando: forse è stata la potenza del mio entusiasmo per questa città».

©RIPRODUZIONE RISERVATA