Pescara, si uccide con la figlia: la mamma lotta per la vita

Ena Pietrangelo è sempre grave per le ustioni su metà del corpo. L’assistente sociale: gesto incredibile
CEPAGATTI. Il tentativo disperato di strappare la figlioletta dall’abbraccio mortale del padre le è costato ustioni sul 45 per cento del corpo. Ena Pietrangelo, la donna di 44 anni che è riuscita a scappare per un soffio con i capelli e gli abiti in fiamme dall’auto incendiata dal convivente, al momento è ricoverata in prognosi riservata al Centro grandi ustionati dell’ospedale Sant’Eugenio di Roma. Dopo il trasferimento dall’ospedale di Pescara, le sue condizioni restano gravi.
I sanitari dell’ospedale di Roma riferiscono di un quadro clinico complesso: la donna ha riportato ustioni di secondo grado sul 40 per cento del corpo e di terzo sul 5 per cento. Solo lei sa quello che è successo tra le 17 e le 17,50 di domenica scorsa e per questo gli uomini della squadra mobile, diretti da Pierfrancesco Muriana, attendono di ascoltare la sua testimonianza: ma adesso Ena lotta tra la vita e la morte.
Nel frattempo è stata ascoltata come persona informata sui fatti l’assistente sociale del Comune di Cepagatti, Cristina Carota, che seguiva la famiglia. Come disposto dal tribunale dei minori dell’Aquila, in seguito alla condanna per maltrattamenti di Gianfranco Di Zio, 48 anni, padre della piccola Neyda di soli 5 anni, la specialista ha iniziato a seguire professionalmente i colloqui del sabato mattina tra la bimba e quel padre violento e possessivo che non voleva nemmeno che la figlia biologica stesse in compagnia delle tre sorelle adottive. «Tutta la famiglia era seguita e tenuta sotto stretto controllo», racconta l’assistente sociale dalla sua scrivania nell’ufficio Servizi sociali del Comune di Cepagatti, «abbiamo messo in pratica tutti gli interventi necessari. Gli incontri programmati tra la bambina e il padre si svolgevano una volta a settimana, il sabato mattina, in un ambiente familiare e protetto. Altro non posso dire perché siamo in presenza di minori e non si può violare il segreto professionale».
La storia della piccola Neyda e i contrasti interni alla famiglia Di Zio-Pietrangelo, tra precedenti matrimoni e figli adottivi da una parte e dall’altra, Cristina Carota li ha raccontati senza tralasciare nessun particolare domenica notte in questura, a Pescara. «Dopo l’incidente», dice, «sono stata ascoltata dalle 23 all’una. La vicenda è molto complicata perché ci sono tanti aspetti della storia da non sottovalutare, anche se un gesto del genere non lo avrei mai potuto pensare».
©RIPRODUZIONE RISERVATA