Pescara, uccise Rigante: Ciarelli fuori tra 12 anni

Dopo l’annullamento della premeditazione, la Corte d’Assise d’appello di Perugia dimezza la pena al rom in carcere dal 2012

PESCARA. Diciassette anni, con lo sconto di 13. Pena quasi dimezzata.

Inizia a vedere la luce Massimo Ciarelli, il rom pescarese in carcere dal 2012 per l’omicidio di Domenico Rigante, l’ultrà biancazzurro di 24 anni ucciso con un colpo di pistola la sera del primo maggio 2012 in un appartamento al piano terra di via Polacchi, alla fine di una domenica passata a vedere le partite in tv con gli amici.

Due giorni fa, dopo che la Corte di Cassazione aveva annullato l’aggravante della premeditazione, per Ciarelli è arrivata la rimodulazione della pena da parte della Corte d’Assise d’appello di Perugia designata dalla stessa Corte suprema un anno fa. E i 30 anni a cui era stato condannato in primo e in secondo grado per omicidio volontario plurimo con l’aggravante della premeditazione, sono diventati 17, in perfetta linea con quanto auspicavano i suoi avvocati Franco Metta e Giancarlo De Marco ad aprile dell’anno scorso.

Diciassette anni che sono poi appena uno in più rispetto ai 16 anni a cui è stato condannato il cugino Luigi Ciarelli che quella sera in cui si doveva vendicare l’affronto e le botte subìte da Ciarelli il giorno prima, non sparò materialmente a Rigante, pur essendo con lui nel blitz in via Polacchi con Domenico, Angelo e Antonio Ciarelli, condannati ciascuno a 13 anni per omicidio volontario. «Dobbiamo ancora leggere le motivazioni», fa sapere l’avvocatoMetta, «qualcosa da impugnare c’è ancora, ma siamo abbastanza soddisfatti. Avremmo la possibilità di fare un nuovo ricorso in Cassazione, non abbiamo ancora deciso». In effetti, con questo sconto e i quasi cinque anni già fatti da quando è stato arrestato a maggio 2012, per il 33enne Massimo Ciarelli gli anni da passare in carcere si assottigliano fino a 12. E questo nonostante, in sede di Cassazione, il procuratore generale avesse chiesto la conferma della pena di secondo grado per tutti gli imputati. Ma evidentemente è passata la linea cavalcata dalla difesa, che aveva lamentato il vizio di motivazione della sentenza dei giudici aquilani e la complessiva contraddittorietà del materiale probatorio, insistendo sul fatto che la spedizione punitiva terminata con l’omicidio di Rigante non aveva lo scopo di uccidere.

«Perché», avevano evidenziato nel ricorso, «Ciarelli, entrato armato di pistola, con il solo scopo di uccidere, prima “perde tempo” a dar colpi con il casco e poi, avendo a disposizione una vasta area per dare morte certa, mira e spara (un solo colpo) in un’area circoscritta (sopra il gluteo destro) col “rischio” di lasciare il povero Rigante in vita?». E ancora, «denota la volontà di dare una lezione, certamente severa, ma diretta solo a provocare lesioni», «la scelta di Ciarelli di impugnare la pistola con la mano sinistra (e lo stesso non è mancino) per poter utilizzare la mano destra per colpire con il casco da motociclista la povera vittima». Tesi evidentemente convincenti che a Massimo Ciarelli hanno ridato il futuro. Un futuro senza il papà, invece, per la figlia di Domenico Rigante. Sei anni.

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