Pescara, ucciso ultras dei Rangers / FOTOIl rom sotto accusa è pronto a costituirsi

Massimo Ciarelli è pronto a costituirsi. Lo rivela al Centro la famiglia del nomade. Il 29enne accusato di aver ucciso Domenico Rigante avrebbe già preso contatti con gli avvocati per pianificare come e quando presentarsi in Questura
PESCARA. È pronto a costituirsi Massimo Ciarelli. Così rivela al Centro la famiglia del nomade di via Vicolo Moro, secondo cui il 29enne accusato di aver ucciso Domenico Rigante la sera del primo maggio avrebbe già preso contatti con i suoi avvocati, per pianificare come e in che tempi presentarsi in Questura. Un passo imminente secondo i Ciarelli, un passo atteso da una città intera che da un giorno all’altro si è ritrovata in un clima surreale, con i blindati della polizia lungo i principali snodi cittadini e una tensione pronta a esplodere. Ma un passo, anche, che converrebbe soprattutto a Massimo Ciarelli, considerando la terra bruciata che gli investigatori della squadra Mobile diretta da Pierfrancesco Muriana gli stanno facendo in ogni angolo della regione e non solo, seguendo le ramificazioni della potente famiglia di Rancitelli, dal nord Italia fino a Napoli e a Cerignola.
COME È MORTO. Ma mentre le ricerche vanno avanti, con blitz e perquisizioni a ogni ora del giorno e della notte per stanare il rom di cui proprio Domenico Rigante ha fatto il nome prima di morire in ospedale, c’è l’esito dell’autopsia eseguita ieri dal medico legale Giuseppe Sciarra con il perito balistico Gaetano Rizza, incaricati dal pm Salvatore Campochiaro.
Un risultato che racconta e ricostruisce gli ultimi momenti di Domenico Rigante, colpito al fianco destro mentre era accucciato sotto al tavolo della cucina, mentre tentava di ripararsi dal suo assassino piombato con altri sei nella casa popolare dove i gemelli Rigante stavano vedendo la partita del Napoli con alcuni amici. Un solo colpo del potente calibro 38 esploso da destra verso sinistra e che, seguendo una traiettoria di 45 gradi, gli ha perforato l’intestino tenue, il diaframma e l’aorta, provocandogli la vasta emorragia interna che l’ha portato alla morte in venti minuti, mezz’ora al massimo.
Un responso, questo, arrivato dopo più di tre ore di autopsia che però non ha potuto chiarire da che distanza è stato esploso il colpo che ha portato alla morte Rigante. Sarà proprio il perito balistico, attraverso l’analisi degli indumenti indossati dall’ultrà quella maledetta sera, a ricostruire, dal foro lasciato sui vestiti dal proiettile, la distanza da cui è stato premuto il grilletto del revolver: un particolare non di poco conto, capace di rivelare con quale e quanta determinazione ha sparato l’assassino di Domenico.
L’ARMA. Di certo è stata scelta con cura l’arma utilizzata dal commando rom che martedì ha fatto irruzione nella casa popolare al piano terra in via Giambattista Polacchi. Perchè si tratta di un revolver, una pistola a tamburo che quando spara non semina i bossoli, ma li trattiene nel caricatore: dunque, non lascia tracce.
Per questo, per ricostruire la dinamica di quei minuti di follia, sono state fondamentali le testimonianze del rione popolare di via Polacchi i cui residenti hanno riferito di due esplosioni certe: una, lungo la stradina di via Polacchi, durante la fuga di Antonio Rigante mentre scappa dal commando rom che era andato a cercarlo per vendicarsi della rissa del giorno prima in via delle Caserme; l’altra contro il povero Domenico, scambiato per il gemello Antonio che nel frattempo, una volta raggiunta la casa da dove era uscito un minuto prima per una telefonata, era scappato a nascondersi sotto al letto. Un inferno scatenato da sei, sette persone piombate come furie nell’appartamento al piano terra dove erano riuniti a vedere la partita del Napoli sei tifosi del Pescara tra cui anche i gemelli Rigante. Un inferno in cui ad avere la peggio, tra botte, urla e bottiglie rotte è stato proprio Domenico che fino all’ultimo, come hanno riferito i testimoni, ha implorato il rom, indicato in Massimo Ciarelli, di non sparargli.
CUGINI SOTTO TORCHIO. È proprio la testimonianza diretta della vittima rimasta cosciente fino a poco prima di morire, ad aver indirizzato sin da subito le indagini dei poliziotti, che quella stessa notte hanno ritrovato in via Caduti per Servizio, dove abitano i cugini di Massimo Ciarelli, la Cinquecento bianca utilizzata dal commando piombato in piazza dei Grue. E proprio i due cugini del 29enne sono stati tra i primi a essere sottoposti alla prova dello stub con il guanto di paraffina. Un accertamento per verificare se la persona è venuta in contatto con polvere da sparo, ma che va fatto a ridosso dell’evento, prima che i residui spariscono. Forse è per questo, anche per questo, che Massimo Ciarelli sta prendendo tempo.
COME È MORTO. Ma mentre le ricerche vanno avanti, con blitz e perquisizioni a ogni ora del giorno e della notte per stanare il rom di cui proprio Domenico Rigante ha fatto il nome prima di morire in ospedale, c’è l’esito dell’autopsia eseguita ieri dal medico legale Giuseppe Sciarra con il perito balistico Gaetano Rizza, incaricati dal pm Salvatore Campochiaro.
Un risultato che racconta e ricostruisce gli ultimi momenti di Domenico Rigante, colpito al fianco destro mentre era accucciato sotto al tavolo della cucina, mentre tentava di ripararsi dal suo assassino piombato con altri sei nella casa popolare dove i gemelli Rigante stavano vedendo la partita del Napoli con alcuni amici. Un solo colpo del potente calibro 38 esploso da destra verso sinistra e che, seguendo una traiettoria di 45 gradi, gli ha perforato l’intestino tenue, il diaframma e l’aorta, provocandogli la vasta emorragia interna che l’ha portato alla morte in venti minuti, mezz’ora al massimo.
Un responso, questo, arrivato dopo più di tre ore di autopsia che però non ha potuto chiarire da che distanza è stato esploso il colpo che ha portato alla morte Rigante. Sarà proprio il perito balistico, attraverso l’analisi degli indumenti indossati dall’ultrà quella maledetta sera, a ricostruire, dal foro lasciato sui vestiti dal proiettile, la distanza da cui è stato premuto il grilletto del revolver: un particolare non di poco conto, capace di rivelare con quale e quanta determinazione ha sparato l’assassino di Domenico.
L’ARMA. Di certo è stata scelta con cura l’arma utilizzata dal commando rom che martedì ha fatto irruzione nella casa popolare al piano terra in via Giambattista Polacchi. Perchè si tratta di un revolver, una pistola a tamburo che quando spara non semina i bossoli, ma li trattiene nel caricatore: dunque, non lascia tracce.
Per questo, per ricostruire la dinamica di quei minuti di follia, sono state fondamentali le testimonianze del rione popolare di via Polacchi i cui residenti hanno riferito di due esplosioni certe: una, lungo la stradina di via Polacchi, durante la fuga di Antonio Rigante mentre scappa dal commando rom che era andato a cercarlo per vendicarsi della rissa del giorno prima in via delle Caserme; l’altra contro il povero Domenico, scambiato per il gemello Antonio che nel frattempo, una volta raggiunta la casa da dove era uscito un minuto prima per una telefonata, era scappato a nascondersi sotto al letto. Un inferno scatenato da sei, sette persone piombate come furie nell’appartamento al piano terra dove erano riuniti a vedere la partita del Napoli sei tifosi del Pescara tra cui anche i gemelli Rigante. Un inferno in cui ad avere la peggio, tra botte, urla e bottiglie rotte è stato proprio Domenico che fino all’ultimo, come hanno riferito i testimoni, ha implorato il rom, indicato in Massimo Ciarelli, di non sparargli.
CUGINI SOTTO TORCHIO. È proprio la testimonianza diretta della vittima rimasta cosciente fino a poco prima di morire, ad aver indirizzato sin da subito le indagini dei poliziotti, che quella stessa notte hanno ritrovato in via Caduti per Servizio, dove abitano i cugini di Massimo Ciarelli, la Cinquecento bianca utilizzata dal commando piombato in piazza dei Grue. E proprio i due cugini del 29enne sono stati tra i primi a essere sottoposti alla prova dello stub con il guanto di paraffina. Un accertamento per verificare se la persona è venuta in contatto con polvere da sparo, ma che va fatto a ridosso dell’evento, prima che i residui spariscono. Forse è per questo, anche per questo, che Massimo Ciarelli sta prendendo tempo.
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