Pescara, un imprenditore racconta: così ho buttato via i soldi al casinò

Piccolo imprenditore racconta come è uscito dalla dipendenza per il gioco d’azzardo: ho perso tutto, salvato da mio figlio

PESCARA. «I soldi buttati via al casinò? Te ne rendi conto soltanto quando non ce li hai più ed è troppo tardi. Dal gioco ne esci sempre sconfitto perché vincere è solo un’illusione: pensi di guadagnarci ma non è così. Una volta, me lo raccontò anche un veterano del casinò che mi chiese un passaggio: “Al casinò non ci venire più”, mi disse, “perché se hai i soldi li perdi e se hai una moglie perdi pure lei, lascia stare”». A parlare così è un piccolo imprenditore di 50 anni che, 7 mesi fa, ha scoperto (e capito) di essere un giocatore compulsivo, uno di quelli che non possono vivere senza giocare e senza mettere a rischio un patrimonio.

«Malato di roulette». «Prima giocavo, ma solo alla roulette», racconta lui, adesso che, assistito dagli psicologi del servizio Gap (Gioco d’azzardo patologico) del Serd, ha smesso di fare puntate su rosso e nero. «Dal 27 dicembre scorso non entro più al casinò, mio figlio e mia moglie mi hanno salvato». È stato un po’ come smettere di fumare: «Quando mio figlio era appena nato», ricorda l’ex giocatore, «all’improvviso ho deciso di smettere di fumare. Non mi andava di stare in terrazzo da solo mentre lui era nella culla. Mi sono impegnato, ce l’ho fatta e la cosa più importante è che mio figlio non ha mai toccato una sigaretta in vita sua. Lo stesso impegno ce l’ho messo per smettere di giocare». Non è facile «ma si può fare», gli ripete Moreno Di Pietrantonio, l’ex consigliere Pd nella sua veste di psicologo e psicoterapeuta, responsabile del servizio Gap che in due anni si è trovato davanti già un centinaio di storie di disagio da gioco compulsivo. «Il gioco patologico è un dramma di tanti», osserva Pietro D’Egidio, direttore del Serd.

«Con mio figlio al casinò». La molla che ha spinto il piccolo imprenditore a dire basta con la roulette è stata l’amore per il figlio: «Quel 27 dicembre ho portato mio figlio al casinò per mostrarglielo visto che non c’era mai stato, ma quando mi ha visto seduto al tavolo da gioco mi ha detto: “Papà mi sembri un’altra persona”. Di fronte alla pallina che girava, l’espressione del mio viso cambiava: ero un altro. Mio figlio mi ha chiesto di firmare un autodivieto per non entrare più al casinò e smettere di giocare. È andato a prendere i documenti personali in macchina e mi ha accompagnato dal direttore del casinò: da quel giorno non ho più giocato».

«Volevo vincere». Ma perché giocava così tanto? Il giocatore si crea sempre una giustificazione pur di continuare a giocare: «Pensavo alle statistiche e alle probabilità di vincere. Mi dicevo che erano alte e, quindi, cercavo di studiare sempre un metodo per riuscire a vincere ma la verità è che, alla lunga, vince sempre il banco. Non c’è storia».

«Delusione per i soldi persi». E quando perdeva come si sentiva? Dopo aver perso, il giocatore si trova a fare i conti con i sensi di colpa: «Ero assalito da una fase di pentimento e di depressione. In quei momenti mi tornavano davanti tutti gli errori che facevo e mi sentivo male». Come una nebbia che si dirada, ma solo per poco: «Ma poi tornavo a giocare come se niente fosse: la delusione pian piano svaniva e tornavo a pensare al modo migliore per vincere». Ma non ci sono regole nel gioco d’azzardo: «È la mano del croupier a comandare il gioco e a ogni giro è diversa, una volta è più forte, un’altra è più debole. Ho promesso a mio figlio che mi sarei fatto aiutare e così ho fatto: sono andato al Serd e sto seguendo un percorso. Ora, dopo 7 mesi senza giocare, posso dire che mio figlio e mia moglie mi hanno salvato».

©RIPRODUZIONE RISERVATA