Pozzi: salviamo il mare dall’invasione del cemento

Il preside di Architettura lancia la provocazione: Montesilvano peggio di Pescara ma noi siamo pronti a collaborare con il Comune per invertire la rotta

MONTESILVANO. «Potrei dire, con uno slogan, che peggio di Pescara c’è soltanto Montesilvano». Sembra una sentenza di condanna quella di Carlo Pozzi, preside della facoltà di Architettura dell’università D’Annunzio, ma non è così: Montesilvano città dei palazzi ha ancora una speranza, salvare il mare dal cemento.

Quando pensa a Montesilvano, cosa pensa?

«Se Pescara ha un po’ di storia che si esplicita in spazi pubblici e aree verdi, Montesilvano sembra essere soltanto un grande agglomerato di case. Ecco perché un progetto per Montesilvano deve pensare a trovare nuovi spazi di centralità».

Lei dice Montesilvano peggio di Pescara. Perché?

«Montesilvano segue le tracce di Pescara con una densificazione a tutti i costi, affastellando cubature talmente forti da far dimenticare il patrimonio naturale. Il problema è che Montesilvano non ha fatto tesoro degli errori di Pescara».

Montesilvano deve reinventarsi, sì ma dove?

«Dobbiamo chiederci dov’è oggi un centro a Montesilvano? Con gli studenti stiamo provando a riflettere su un punto della città che sebbene centrale è ancora dimenticato e cioè quello intorno alla stazione. Ma la stazione, che è addirittura sovradimensionata rispetto al traffico, apre a due fronti decisivi per la città: la statale adriatica e il mare. Questo può essere un luogo di rilancio se lo si reinterpreta con una qualità urbana che oggi non c’è».

L’università ragiona su Montesilvano: vuol dire che la città può cambiare?

«Noi crediamo nel lavoro degli studenti perché hanno il coraggio di interpretare la realtà. I loro progetti provano ad attraversare la stazione, da sopra o da sotto, per cercare una connessione forte tra il centro e la città che si è sviluppata sul mare. Il contributo degli studenti, sebbene utopico, può aprire idee e far capire che la realtà non è bloccata e che un progetto di qualità può essere applicato ovunque. La vera sfida è scegliere strade che portano qualità in un luogo come Montesilvano che ha potenzialità ma non ha una bellezza immediatamente percepibile».

Un progetto c’era, quello del 2005 dello studio Miralles-Tagliabue di Barcellona, ma non se n’è fatto niente. Perché?

«Quando arriva un progetto forte, come quello di Miralles-Tagliabue, molto stravaganti ma di qualità, spesso accade che le città tendano a richiudersi dentro il proprio magazzino di informazioni, professionali e professionistiche, e a respingere una provocazione così forte. Io credo che la provocazione andrebbe prima discussa. Ecco perché un’idea che stiamo provando a dare al Comune è quella di creare luoghi in cui si discuta del futuro della città: non si tratta di posti per riempirsi la bocca di parole vuote ma per prendere i progetti e ragionarci sopra per non creare inutili contrapposizioni. Il nostro convicimento è che Montesilvano ha più chance di cambiamento di Pescara. In centro è possibile trovare ancora un rapporto con il mare: non c’è da demolire ma da interpretare con nuovi spazi pubblici. Ci sono elementi che vanno rimessi insieme ragionando con le forme».

Montesilvano città del cemento: a questa definizione hanno contribuito anche le inchieste giudiziarie ma, ora, gli imprenditori sono stati assolti. Allora, è stato tutto lecito?

«Dovrei leggere bene gli atti giudiziari ma il problema è pensare a che città lasciamo ai nostri figli. A me la parola cementificazione non piace ma dobbiamo pur discutere che gli spazi pubblici, ora, sono confinati in aree minori e che il progetto di architettura parte sempre da dotazioni volumetriche, forse sotto la spinta dei costruttori. Le amministrazioni, con l’università, dovrebbero provare a proporre una città più a misura d’uomo con un nuovo rapporto tra mare e spazi pubblici».

Montesilvano 2050: sarà meglio o sarà peggio?

«Dipenderà soltanto dagli uomini. La presenza di una facoltà di Architettura, in questo bacino urbano, deve avere il ruolo di modificare la qualità della città altrimenti è soltanto un modo per dare lauree. Vogliamo che i nostri studenti si adoperino per il cambiamento: non deve esserci separazione tra l’università, che non è un iperuranio, e le amministrazioni. Forse, il superamento delle questioni giudiziarie va riportato proprio su un tavolo di confronto con i cittadini. Il ritorno all’agorà? Sarebbe fantastico».

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