il ricordo

Quando a Firenze si sperticò in lodi su Pescara

Politico eccentrico, preferiva il dialetto all’italiano. E portò la Nave di Cascella nella città di Dante

di GIULIANO DI TANNA

Torna, Nevio, torna. Chi vive a Pescara questo mantra l’ha ascoltato in città più di una volta, nei 29 anni trascorsi da quel 1988 in cui Nevio Piscione si dimise da sindaco. Il mantra sopravvive ancora oggi fra chi ha superato i 50 anni come una sorta di esorcismo contro tutto ciò che non va bene in questa città. Mai sindaco di Pescara fu più al centro di polemiche quando sedeva sulla poltrona di comando di Palazzo di Città e più rimpianto dopo. La Pescara di cui fu sindaco Nevio Piscione, scomparso ieri all’età di 80 anni, era una città ancora viva. Una città al centro di una regione in crescita e intraprendente, con lo sguardo rivolto al futuro e un ottimismo contagioso che si fondava anche su numeri che raccontavano di un Abruzzo primo per crescita economica nel Meridione. Piscione era un po’ il simbolo di quella Pescara e di quell’Abruzzo. Era un politico eccentrico, che militava in una corrente della Dc, quella andreottiana, invisa a Remo Gaspari; un uomo del popolo che non si vergognava di esibire passioni condivise con i suoi concittadini e che preferiva spesso il dialetto all’italiano. Era, la sua Pescara, una città che era riuscita finalmente ad avere la sua nuova stazione ferroviaria, dopo una gestazione di 35 anni. La mattina dell’inaugurazione, il 27 gennaio del 1988, Piscione era incontenibile. Con il berretto da ferroviere in testa s’era fatto fotografare abbracciato anche a Giovanni Galeone, l’uomo più popolare in città dopo la promozione in Serie A del suo Pescara, sette mesi prima. Era, la Pescara di quegli anni e di quei mesi, anche la città che si accingeva a realizzare il porto turistico sulla riviera di Portanuova, un altro di quei sogni che affascinavano una comunità innamorata della modernità e dello sviluppo, e (apparentemente) affatto abruzzese nella poca o nulla considerazione che aveva di tradizioni e radici. Fu sempre lui a tenere a battesimo un altro piccolo strappo alle tradizioni cittadine quando, pochi mesi prima, aveva varato la Nave di Cascella sulla rotonda di piazza Primo maggio, al posto dell’aiuola con le lancette dell’orologio e la data composta con i fiori che, per decenni, aveva fatto da sfondo alle foto di nozze dei pescaresi. L’installazione in quel posto sacro alle memorie di migliaia di coppie era stata preceduta dalla presentazione a Firenze dell’opera dello scultore pescarese. La Nave era stata esposta in piazza Santa Croce, e la leggenda narra di un Piscione così preoccupato della sua integrità da scacciare i ragazzini che, nella piazza rinascimentale, saltellavano fra la prua, la poppa e i remi del futuro simbolo della città di Pescara. La medesima leggenda racconta anche che, alla cena di gala offerta dal Comune di Firenze al sindaco di Pescara, Piscione si fosse attardato, al momento del brindisi, nell’elencazione delle bellezze artistiche e storiche della sua città, alla quale il sindaco di Firenze, Massimo Bogianckino, avrebbe replicato con understatement: «Anche noi qui abbiamo qualcosa di importante dal punto di vista artistico».

Era questo e altro Piscione. Ma racchiudere la vita di una persona in un articolo di giornale è sempre impresa complicata quando non inutile. Nella memoria, che chi l’ha conosciuto ha di lui, si mescolano divertimento e rimpianto. Sì, perché il ricordo dell’uomo non può essere depurato da quelli che, per dirla con Dickens, erano i migliori e i peggiori dei tempi. Erano quelli, infatti, gli anni in cui l’Italia, l’Abruzzo e Pescara sperperavano occasioni e denaro pubblico, ma anche quelli in cui il Paese, la regione e la città pensavano ancora di poter avere un futuro migliore del loro passato. E Nevio Piscione era forse uno degli ultimi testimoni di quel epoca di, non sempre immotivate, speranze e illusioni.

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