Quando i bimbi in strada mangiavano i tortellini: una storia lunga 70 anni

Era il 5 aprile del 1953: Nino Pitocco inaugurò l’attività a San Cetteo Oggi ci sono i figli: il boom ci fu con l’apertura del ponte D’Annunzio
PESCARA. I bambini del quartiere mangiavano per strada i tortellini con la carne cotta preparati da Nino Pitocco, detto “lu bionde”. La sua pasta fresca "garantita e genuina con le uova di giornata", come recitava lo slogan pubblicitario che l’imprenditore aveva coniato con lo zio pastaio alla De Cecco, Osvaldo Di Brigida, veniva servita nelle case dei signorotti di Porta Nuova e sulla tavola di don Pasquale Brandano, abate di San Cetteo. Era il 5 aprile 1953 quando Pitocco, che aveva 25 anni, con mamma Laura D’Amario, inaugurò la sua prima bottega in via Vittoria Colonna, prima di trasferirsi in via dei Bastioni e, dal 1962, in piazza Garibaldi, dove si trova l'attuale negozio portato avanti dopo la sua morte, 13 anni fa, dai figli Antonio, Nunzio e Massimo, 60, 57 e 53 anni.
Il prossimo mercoledì l'attività compirà 70 anni e sono lontani i tempi della gavetta quando Nino, imprenditore eclettico, sostenuto dal piglio tenace di mamma Laura, «infermiera nello studio del dottor Giovanni Contratti, cucinava la pasta nella bottega e la faceva assaggiare ai clienti sul marciapiede o li invitava ad entrare in bottega» per lanciare il suo prodotto, che inizialmente stentava a decollare.
«Erano tempi difficili», racconta Nunzio che porta avanti la tradizione di famiglia aiutato dai fratelli Antonio, ingegnere, e Massimo, architetto, insieme a Monica Cerqueti (moglie di Nunzio) e alla dipendente Elena Cellini, «la pasta fresca era una novità e nostro padre, che all'epoca aveva il negozio al civico 56 di via Colonna, la pubblicizzava con un volantino di carta ruvida con su scritto: “Massaie acquistando i nostri prodotti risparmierete tempo e fatica avendo un prodotto superiore” e invitava a prenotare “tagliatelle, linguine, maccheroni alla chitarra eccetera” al numero telefonico con quattro cifre: 3732». Una linea telefonica, ottenuta all’epoca, «versando una caparra stratosferica», raccontano i figli, «e quando don Brandano andava a telefonare ad Agnone per sistemare le sue campane, Laura s’infuriava perché non pagava mai. Ma quando da papà doveva ricevere l'affitto di uno dei suoi locali dietro la chiesa, si bloccava sull’uscio e non andava via finché non riceveva la pigione». Pitocco era nato in via Aterno. «Aveva una passione per il cinema americano e da giovane lavorava come operatore al cinema Pidocchietto. In casa aveva una camera oscura e si stampava le fotografie, tutte raccolte negli album», narrano i figli, «si gellava i capelli come gli attori e fumava le Stuiyvesant. E nel tempo libero faceva l’autista all'onorevole Nino Cetrullo». Nel 1960 si sposa alla Madonna del Fuoco con Rosa Antonietta Di Brigida, oggi 84enne, residente in via Valignani, che gli è stata sempre al fianco. «Siamo cresciuti nei negozi che i nostri genitori aprivano di notte per preparare la sfoglia, il nostro segreto è anche il dosaggio dell’acqua. Durante la pausa si mangiava e si giocava a carte». Gli anni del boom economico «per noi sono arrivati dopo l’apertura del ponte d'Annunzio, quando qui intorno c’era il mercato della frutta, il fornaio col pane fresco, le osterie, le pasticcerie Quaranta e D'Amico che si facevano concorrenza spietata. Ci raccontava papà che aveva a turno una ventina di dipendenti, giovani che si pagavano gli studi infilando i ripieni dei tortellini con la siringa». E poi, ancora, le sofferenze della guerra e lo sfollamento nella fondovalle Alento: «Papà ci raccontava dei bombardamenti sulla città che avevano risparmiato la cattedrale ma non il circolo Aternino, completamente distrutto, e le fonderie Camplone. Papà è stato un imprenditore lungimirante e innovativo, noi», scherzano Antonio, Nunzio e Massimo, «per i clienti siamo sempre stati “i figli della pasta all'uovo”».