"Io, un giornalista infiltrato nella bolgia del "concorsone"

Un cronista del Centro iscritto ai test per 300 posti all’Aquila. Ecco il racconto di una giornata tra quiz, rabbia e speranze

ROMA. La sveglia suona alle 5,20, fuori è ancora buio: è mercoledì 21 novembre e devo andare a Roma. Tra i 17.042 candidati al concorsone per la ricostruzione dell’Aquila ci sono anch’io: mi sono iscritto per raccontare cosa succede nel padiglione 3 della Fiera di Roma, da lunedì scorso e fino a oggi requisito per le preselezioni. Appuntamento alle 12 per il concorso da funzionario amministrativo, detto Ag7m quasi un nome in codice. Sarà una giornata da cronista infiltrato tra le insidie dei quiz, la rabbia dei precari della ricostruzione che vedono svanire un posto di lavoro dopo 3 anni di sacrifici e le speranze dei disoccupati.

Risparmio autobus. Sono un pendolare delle preselezioni: prendo l’autobus alle 6,15 da piazza della Repubblica, a Pescara, con destinazione Roma Tiburtina. Andata e ritorno fanno 28 euro. Non sono l’unico: per risparmiare i soldi dell’albergo si fa su e giù. Arrivato a Roma, Maria Rita Consalvi, precaria della ricostruzione al Comune dell’Aquila con 2 lauree in tasca, iscritta a 6 concorsi su 14 pagando 87,72 euro di tasse, mi racconterà: «Sto a Roma da lunedì scorso e per fortuna sono ospite a casa della sorella del mio fidanzato ma chi ha dovuto prendere una stanza in albergo ha speso a occhio e croce 500 euro». Il fidanzato, Ubaldo, un altro precario del Comune dell’Aquila laureato in Scienze politiche, mi dirà che è in «ferie forzate»: «Altrimenti come farei a stare qui quasi una settimana? Io sono fortunato perché mi ospita mia sorella. Qui intorno gli alberghi sono tutti quasi pieni: se le preselezioni si fossero fatte all’Aquila, non sarebbe stato un male per i nostri alberghi e bed & breakfast».

Binario 25. L’autobus mi scarica a Roma Tiburtina, mi avvio a piedi verso la stazione ferroviaria e imbocco il sottopassaggio per il binario 25: salgo sul treno regionale per Fiumicino che in 36 minuti mi porterà a destinazione. Costo 1,50. Sulla piazzola, incrocio le facce da concorsone: le riconosco perché in mano hanno il blocco dei 4 mila quiz. «Cerco di usare ogni minuto per ripassare», dice Antonella, laureata in Giurisprudenza.

In bus come alla gita. Arrivato alla fermata Fiera di Roma, si vede una piccola folla che prende d’assalto un autobus che fa su e giù lungo via Portuense: è il bus navetta dei candidati. Cinque minuti di tragitto, un po’ come in gita scolastica: mi siedo al penultimo posto e la mia compagna di sedile, Angela, mi racconta che «è già stata segata una volta, oggi ci riprovo ma è difficile. C’è troppo poco tempo per rispondere a 70 domande». Un po’ ci credo e un po’ no: vedremo. Ma Angela avrà ragione.

Davanti ai cancelli. Scendiamo dal bus e i cancelli della Fiera di Roma sono chiusi: ci piazziamo davanti al recinto di ferro come si fa quando si va alla partita oppure a un concerto. Seduta sul marciapiedi c’è anche Claudia, laureata in Giurisprudenza e precaria al dipartimento Affari internazionali della Regione Abruzzo, che a gennaio diventerà mamma per la seconda volta.

Fiume di candidati. Quasi alle 12, il fiume dei candidati si avvia lento verso il padiglione 3: è una massa di precari e disoccupati che cercano un lavoro. C’è qualcuno che non si stacca dai quiz: è nervoso. Finalmente, si entra nello stanzone: dopo il riconoscimento ci accompagnano al banco. Tutti in fila.

Banco piccolo. Un banchetto piccolo piccolo: «Sul banco è possibile tenere soltanto il manuale delle domande, i fogli forniti dagli assistenti e la penna nera», annuncia al microfono il responsabile Ripam Rosario Maiorano. Del resto, è quasi impossibile metterci altro: un movimento di troppo e cade tutto. Se il banco dondola, arriva un’assistente del Formez che consegna pezzi di cartone da piazzare sotto i piedi del tavolino.

Partenza, via. Alle 13,06 si parte: Maiorano dà il via e, come alla partenza di una gara di 100 metri, i candidati fanno lo sprint per togliere il cellophane dal libro delle domande. Nell’aula, si sente un crash di gruppo: io ci metto un secondo più degli altri a scartare il manuale. La prima domanda mi mette già un dubbio: che significa “acconcio”? «Avveduto, indulgente, adatto, maltrattato, sconveniente». Non è tanto difficile ma decido di pensarci un attimo, vado avanti e commetto la prima leggerezza che potrebbe costarmi un punto di penalità: lasciare una riga bianca è pericoloso perché potrei segnarci sopra la risposta di un’altra domanda e in caso di errore non si può cancellare. Ancora avanti fino alle serie numeriche: per me, è la parte più difficile dei quiz. Aggiro l’ostacolo della logica numerica: ci penserò più tardi quando avrò finito tutto il resto. E commetto la seconda leggerezza: non avrò più il tempo di tornare indietro. I candidati che sbuffano per il troppo poco tempo a disposizione non hanno tutti i torti: 45 minuti per 70 domande, cioè 38 secondi per quiz, sono proprio pochini. Sì perché il numero della domanda è scritto su un foglio, la domanda va cercata sul libro e la risposta deve essere annotata, annerendo un pallino, su altro foglio ancora: «Non restano neanche 20 secondi a domanda», mi avevano detto Marco Matteo Papicchio e Leonardo Addati, neolaureati in Scienze politiche. Hanno ragione, così penso quando il tempo sta per finire.

Trabocchetti nascosti. Altro tempo se ne va per stanare i trabocchetti: alla fine della prova, scoprirò che in tanti abbiamo sbagliato la stessa cosa, l’equazione letteraria «X: fetta = torta: capitale». Mi spiego: le 5 alternative sono focaccia, città, metropoli, Oslo e azione. Ma come devo decifrare la relazione? Scarto focaccia. Allora: capitale va inteso come città, metropoli, Oslo o in senso economico? Vado per Oslo, come tanti altri, e sbaglio. La risposta esatta è azione. Alla domanda «quale tra questi edifici non si trova nei pressi di piazza San Marco all’Aquila?», vorrei un aiuto: mi basterebbe una telefonata alla redazione dell’Aquila. A dire la verità, la domanda è una trappola anche per gli aquilani: in piazza San Marco, non c’è palazzo Branconio ma in città, da un’altra parte, esiste palazzo Farinosi-Branconi. Per il Formez, la risposta esatta è la B: cattedrale di San Giorgio e chiesa di San Massimo, vicina a piazza San Marco. Per tanti aquilani, la risposta giusta è la C: palazzo Branconio, che si trova a Roma.

Ripam dà l’alt. Quando Maiorano grida «alt» ci dobbiamo fermare tutti, posare la penna e inserire il foglio con le palline annerite in una busta: senza risposta ho lasciato almeno una decina di serie numeriche, forse 12.

Ansia da punteggio. Il mio punteggio non arriverà a 58-60 e, considerando qualche errore, potrebbe scendere a 50 o calare ancora più in basso visto che la media, per il Formez, si aggira sui 40 punti. Vuol dire che anch’io sono nell’esercito degli esclusi. Finora, più di 50 candidati hanno raggiunto il massimo: 70 su 70. Sono i geni dei quiz, andranno avanti: gli altri per sapere come è andata dovranno aspettare il 26 novembre quando la Ripam ufficializzerà l’elenco degli ammessi agli scritti. Di certo, non mi è andata bene: me ne vado e penso a quello che dovrò scrivere. Tutti gli altri, invece, pensano a quelle palline bianche e nere: il loro futuro dipende soprattutto dalle palline.

©RIPRODUZIONE RISERVATA