Il procuratore capo di Pescara Giuseppe Bellelli, pm nel processo di Rigopiano

PESCARA

Rigopiano, interviene la Procura: «Sentenza divergente che va rispettata. Pronti all'appello»

Il procuratore capo Bellelli: «Diffuse fake news sull'esistenza di altri responsabili. Auspico che la disarmonia tra richieste e condanne possa ricomporsi dopo la lettura delle motivazioni» 

PESCARA. Il procuratore capo della Repubblica Giuseppe Bellelli interviene all'indomani della sentenza di primo grado nel processo con rito abbreviato sulla tragedia di Rigopiano. Lo fa con una lunga nota partendo da una breve sintesi e cioé che  "il giudice ha escluso la sussistenza del delitto di disastro colposo, e condannato per omicidio colposo plurimo tre imputati assolvendo gli altri". E aggiunge: "Saranno le motivazioni a dare atto del percorso logico giuridico che ha condotto alla decisione, in parte difforme dalle richieste dei pubblici ministeri e delle parti civili» .

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Bellelli afferma che «la sentenza merita rispetto, cosi come rispetto è dovuto al giudice ed alla funzione dallo stesso esercitata, fermo restando il diritto di critica. Le aggressioni verbali in aula dopo la lettura della sentenza non possono essere tollerate, cosi come non è accettabile il dileggio del magistrato da chiunque posto in essere» .

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Nella nota si legge che «gli atti processuali documentano come le indagini sono state svolte in ogni direzione; i reati contestati riguardano esponenti di tutti i settori delle pubbliche amministrazioni interessate alla vicenda dopo che, prima del processo, 22 posizioni erano state archiviate Il giudizio abbreviato allo stato degli atti è stato richiesto dalle difese di tutti i 30 imputati ed accettato dalle parti civili».

«I fatti, gli antefatti, gli accadimenti, gli atti ed i documenti, le condotte, le richieste di aiuto, la valanga che ha travolto l’hotel cagionando la morte di ventinove persone, costituiscono emergenze probatorie acquisite al processo. Tre imputati, per i quali vale sempre la presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva, sono stati condannati per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. La difformità tra le richieste dei pubblici ministeri e le decisione del giudice, risiede nella valutazione dei fatti e degli atti».

Il procuratore capo scive poi che «va smentita con forza l’affermazione che vi sarebbero altri responsabili, tenuti fuori dal processo dalla procura della Repubblica: si tratta di tentativi irresponsabili di sviare I’attenzione e le aspettative dai reali temi del processo, e dai fatti, mediante la diffusione di fake news».

Nella nota Bellelli prosegue: «Il contraddittorio nel rispetto delle regole processuali, la dialettica tra accusa e difesa, la complessità delle questioni affrontate in tema di cooperazione colposa nel reato, prevedibilità ed evitabilità dell’evento e dovere di impedirlo, giudizio controfattuale nella causalità omissiva, hanno portato ad una sentenza che la procura della Repubblica non condivide in gran parte e che verosimilmente impugnerà nei capi assolutori, cosi come proporranno appello i difensori degli imputati condannati».

 «Il giudice, nella solitudine della camera di consiglio, decide in piena indipendenza, senza dover assecondare le aspettative della opinione pubblica, attenendosi solo alla Iegge ed alle risultanze processuali».

Bellelli conclude che «aII’esito di un processo estremamente complesso, resta il dolore e Io sconcerto dei familiari della vittime, e la difficoltà della opinione pubblica di comprendere ed accettare una sentenza, pronunciata in nome del popolo italiano, fortemente divergente dalle richieste dei pubblici ministeri e dalle difese delle parti civili, e da legittime aspettative di giustizia. Si auspica - scrive - che tale disarmonia, che può apparire incomprensibile e della quale anche i magistrati della procura intendono farsi carico, possa ricomporsi dopo la lettura delle motivazioni della sentenza, o nei successivi gradi di giudizio, se è vero, come affermò uno dei padri costituenti I’avvocato Piero Calamandrei davanti al Tribunale , che le leggi “perché non siano formule vuote devono scaturire dalla coscienza di cittadini, devono essere sentite come nostre”».