Sgominata la banda dei furti d'auto

I carabinieri arrestano otto persone: agivano tra Abruzzo e Campania

PESCARA. Rubavano le automobili, cambiavano il numero di telaio e poi le rivendevano come usate. Oppure le restituivano alle vittime, facendosi pagare. Otto persone, tra cui un minorenne, sono state arrestate in Campania dai carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Pescara su disposizione del gip pescarese e del tribunale per i minorenni di Napoli.

Per gli investigatori sono i componenti di un'associazione per delinquere finalizzata al furto, al riciclaggio di auto e all'estorsione che più volte ha toccato anche l'Abruzzo visto che, proprio nelle province di Pescara e Teramo, avrebbero rubato cinque macchine da piazzare sul mercato dell'usato dopo un'attenta lavorazione.  Gli arrestati sono Pio Attanasio, 33 anni, di Napoli, la moglie Giuseppina Ferrante, 31 anni, Francesco Rosario Ruggiero, 26 anni, di Ercolano, i fratelli Ciro e Diego Salerno, di 24 e 23 anni, entrambi di Napoli Ponticelli, Antonio Domenico Siniscalchi, 24 anni, di Pomigliano d'Arco e Ciro Sforza, 33 anni, napoletano. L'ultimo, L.A.R., non è ancora diciottenne, e vive a Ercolano.

I carabinieri sono arrivati a loro mentre indagavano su un traffico di droga tra la Campania e l'Abruzzo. Ascoltando le telefonate, i militari hanno scoperto che i napoletani non si occupavano solo di stupefacenti ed è nato così un nuovo filone di indagine che ha portato all'operazione di ieri, chiamata «Pezzotto», dal gergo napoletano di chi smonta e rimonta automobili. L'organizzazione messa su dagli otto arrestati era «stabile» - hanno detto il colonnello Marcello Scocchera e il capitano Eugenio Stangarone - e aveva portato alla «predisposizione di compiti, mezzi, luoghi e strutture» ben precisi. I capi, i promotori di tutto, erano Attanasio, detto Pio Pio, e Ruggiero, che insieme a Ciro e Diego Salerno e al minorenne individuavano le auto da rubare, per poi decidere se rivenderle «pulite», col telaio diverso, o se riproporle ai proprietari, estorcendo loro denaro. Giuseppina Ferrante, invece, per agevolare gli affari della banda avrebbe messo su un'attività commerciale di copertura, un ingrosso di auto, e a disposizione c'erano anche Siniscalchi, legale rappresentante di una ditta di compravendita di auto incidentate, che si occupava del deposito dei mezzi rubati, e Sforza, di professione carrozziere, che smontava le vetture e ne rimontava i pezzi altrove.

Il tutto avveniva tra Bologna e Napoli, ma l'attenzione dei campani si è soffermata sull'Abruzzo perché qui avevano dei contatti con spacciatori locali.  Qui la banda avrebbe fatto sparire tra ottobre 2008 e giugno 2009 cinque auto, una delle quali (una minicar) è stata poi restituita al proprietario, che ha pagato circa 700 euro per riaverla. I militari hanno ricostruito il metodo di lavoro del gruppo. Grazie all'ingrosso della moglie di Attanasio, un'auto incidentata veniva acquistata regolarmente e a prezzi vantaggiosi a Bologna, ma subito dopo ne veniva rubata in strada un'altra identica e finivano entrambe a Napoli, nei locali a disposizione degli indagati, dove i mezzi venivano smontati e sottoposti alla «pezzottara», cioè al taglio delle parti identificative. Il telaio dell'auto incidentata finiva sull'auto rubata, che poi veniva venduta con documenti apparentemente perfetti e a un prezzo più vantaggioso di quello di mercato. Se però si riusciva a risalire al proprietario del veicolo rubato si provava subito a rivenderlo, estorcendogli denaro, e si realizzava il cosiddetto «cavallo di ritorno». Gli altri pezzi, invece, finivano tutti nelle mani di ignari acquirenti.

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