Sito inquinato e pericolo contaminazione, imprenditrice indagata per omessa bonifica

foto di Luca Terzini

12 Novembre 2025

Per l’amministratrice della “Fratelli Laureti” si profila una richiesta di processo. L’accusa nonostante il rischio sanitario-ambientale del 2021 

PESCARA. Dal novembre del 2021, e cioè dopo l’approvazione da parte del Comune di Pescara dell’analisi di rischio sanitario-ambientale del sito dismesso dal 1994, la società Fratelli Laureti avrebbe omesso di presentare il progetto di bonifica di quel sito di circa 12mila metri quadrati in via Doria, e sarebbe rimasta inerte anche in relazione alle prescritte misure di prevenzione sulla falda e sul terreno. Per questo, l’inchiesta appena definita dalla procura di Pescara (avviso di conclusione delle indagini, tra gli ultimi atti firmati dal pm Luca Sciarretta prima del passaggio in Cassazione) vede l’amministratrice della società, Anna Maria Laureti, a rischio di una richiesta di processo per omessa bonifica e per la realizzazione di una discarica abusiva all’interno del sito, fatta di «rifiuti non pericolosi di varie tipologie (domestici, ingombranti)», come si legge nell’imputazione.

Ma la questione più rilevante riguarda l’inquinamento del sito e, in proposito, nell’imputazione si legge che l’indagata, quale «amministratrice dal 2015 della società avente ad oggetto sociale la costruzione, installazione, manutenzione e riparazione di impianti di distribuzione di carburanti e vendita al dettaglio di olii combustibili e gomme per autotrazione e gestore di un deposito di oli minerali, società responsabile dell’inquinamento del sito, ometteva di sottoporre alla Regione il progetto operativo degli interventi di bonifica nei sei mesi successivi all’approvazione del documento di analisi del rischio da parte della conferenza dei servizi convocata dalla Regione (a seguito della determina del Comune di Pescara). E pertanto, essendovi obbligati per legge, non provvedeva alla bonifica del predetto sito, nel quale risultava presente una concentrazione di contaminanti superiore ai valori di concentrazione soglia rischio». Vale a dire arsenico, nichel, ferro e manganese, mentre per i terreni si parla di idrocarburi alifatici in concentrazione superiore alla soglia di rischio.

A ricostruire tutta la storia di quel sito ci hanno pensato i carabinieri forestali del colonnello Annamaria Angelozzi, che hanno ripercorso, dati e carte alla mano, tutte le fasi della vicenda che ha visto il Comune di Pescara particolarmente attento alla soluzione del problema, attraverso una serie di richieste ufficiali inviate alla società e che però non ebbero il riscontro atteso: «Le inadempienze reiterate da parte della ditta Laureti, proprietaria del sito e soggetto responsabile dell’inquinamento...stanno determinando un lungo immobilismo del procedimento ambientale avviato, che non consente di escludere che la contaminazione si stia diffondendo», come si legge nella nota del servizio vulnerabilità del territorio del Comune inviata alla società. C’è stato un lungo carteggio tra la società e l’Ente che è arrivato anche a diffidare i Fratelli Laureti, «alla immediata presentazione del progetto di bonifica», visto che i tempi erano ampiamente scaduti. Ed è lo stesso geologo, incaricato dalla società di svolgere le attività di caratterizzazione ambientale (gennaio 2016), a spiegare che «attualmente le fonti di contaminazione possono essere considerate allo stato attivo, in quanto è stata riscontrata la diffusione di contaminanti», come riportano i carabinieri forestali nei loro documenti.

E dopo un lungo tira e molla (e dopo la diffida della Provincia) la società trasmetteva (a febbraio 2019) i risultati del piano di caratterizzazione che veniva approvato dalla Conferenza dei servizi e passato al vaglio dell’Arta Abruzzo che chiedeva delle integrazioni che venivano eseguite (febbraio 2021). Ma nonostante gli esiti della procedura dell’analisi del rischio approvata nel 2021, la società, stando alle indagini appena concluse, ometteva di procedere alla bonifica non presentando il progetto agli Enti preposti. Non solo, ma dal 2015 non sarebbe stato fatto nulla per la messa in sicurezza del sito per impedire il diffondersi dei contaminanti in falda. Da qui i reati contestati nell'avviso di conclusione delle indagini.

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