Sono abruzzesi gli alpini più gravi Un familiare: per noi ore di paura 

Si trovano ricoverati assieme ad altri soldati del Nono Reggimento dell’Aquila, nessuno rischia la vita Arrivano dal capoluogo, dalla Marsica, da Teramo e dal Chietino. Per alcuni si valuta il rientro in Italia

L’AQUILA. Sono abruzzesi i due alpini feriti in modo più grave durante la sommossa in Kosovo. Entrambi non sono in pericolo di vita. Si trovano ricoverati assieme ad altri 9 soldati, tutti in strutture del posto. Sono in progressivo miglioramento. Altri tre militari, sempre del Nono Reggimento alpini dell’Aquila, sono rimasti contusi e sono stati medicati prima di tornare alla base. Almeno tre arrivano dalla Marsica, un altro dall’Aquila, un quinto dal Teramano. Altri militari sono del Chietino. Tutti appartengono al primo plotone della compagnia 108. Le famiglie sono state avvisate in poche ore, anche se le informazioni che arrivano dai Balcani restano frammentarie.
IL RACCONTO: «ORE DI PAURA»
«Abbiamo parlato con la compagna, l’unica che è in contatto con il comando dell’Esercito, e ci ha detto che il nostro congiunto è stato colpito dalle schegge forse provocate dall’esplosione di una bomba carta», racconta un familiare che per motivi di sicurezza deve mantenere l’anonimato, «aveva lasciato il proprio telefonino alla base e per questo non possiamo metterci direttamente in contatto con lui. Ma ci assicurano che sta bene. Anche se da lunedì abbiamo trascorso ore di grande paura». Si sta considerando la possibilità di rimpatriare, nelle prossime ore, i due alpini più gravi, in quanto hanno riportato fratture agli arti inferiori e ustioni. Gli altri 11 sono meno gravi, con contusioni, bruciature e ferite causate da schegge. Tutti i feriti verranno valutati dallo psicologo.
ALLERTA ELEVATA
Nel nord del Kosovo la Nato invia rinforzi perché resta altissima la tensione interetnica all’indomani dei violenti scontri di Zvecan tra dimostranti serbi locali da una parte e polizia kosovara e truppe Kfor dall’altra. Truppe di cui fanno parte gli alpini del Nono Reggimento dell’Aquila. Tutto il contingente è stato messo in stato di massima allerta dopo quanto accaduto lunedì, con disordini e un’autentica guerriglia che ha visto il ferimento di trenta soldati della forza Nato, di cui appunto 14 italiani e 19 ungheresi.
LA VISITA DI FIGLIUOLO
In Kosovo si è subito recato il generale Francesco Paolo Figliuolo, a capo del Comando operativo di vertice interforze, per portare il saluto e gli auguri di pronta guarigione del ministro italiano della Difesa, Guido Crosetto.
COSA è accaduto
Le proteste dei serbi, che costituiscono la maggioranza della popolazione nel nord del Kosovo, hanno preso il via dopo le cerimonie di insediamento dei nuovi sindaci – tre di etnia albanese e uno di etnia bosniaca – nei quattro Comuni del nord a maggioranza serba. Sindaci eletti nel voto locale del 23 aprile scorso, boicottato in massa dai serbi e che ha fatto registrare per questo un’affluenza bassissima, di poco sopra il 3%. Cosa questa che ha indotto i serbi locali, appoggiati da Belgrado, a ritenere illegittimi i nuovi sindaci, che in rappresentanza del 2% delle popolazioni andrebbero a governare città i cui abitanti sono al 98% serbi. L’unico dei nuovi sindaci a non essere di etnia albanese è quello di Mitrovica nord, la cui popolazione lo ha accettato. Per questo lì non si registrano proteste. La giornata di ieri è trascorsa in larga parte tra incontri, dichiarazioni e appelli preoccupati della comunità internazionale diretti a smorzare i toni e scongiurare un’ulteriore escalation della tensione e contrapposizione fra Belgrado e Pristina. In prima linea l’Italia, con i ministri degli Esteri Antonio Tajani e della Difesa Crosetto, allarmati per il pericoloso focolaio di instabilità pronto a esplodere alle porte del nostro Paese. E da Mosca, storica alleata di Belgrado e sostenitrice della causa serba, non arrivano buoni segnali: la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova ha accusato proprio la forza Nato in Kosovo di essere responsabile dell’escalation di tensione. I militari della Kfor, ha detto, hanno agito in modo «non professionale», provocando «una violenza non necessaria» e «una escalation» della situazione.