STRATI DI POLVERE

12 Agosto 2013

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Denver Avenue 19, 8¡ piano, interno 3. Devo aver biascicato qualcosa del genere al tassista, barcollando quasi per caso nella sua Chevrolet gialla. La mia bocca era uno spiacevole impasto di alcool e tabacco di pessima qualitˆ. Un'altra serata come quella al Grape Bros e ci tiravo le cuoia, garantito; il mio diabete ý un compare esigente, non dovrei davvero sottovalutarlo.

Il taxi si incuneava sicuro tra i vicoli del sobborgo, forte della totale mancanza di traffico dovuta al riprovevole orario notturno. Grandi palazzi e grattacieli cittadini, le cui ampie vetrate si illuminavano e spegnevano costantemente secondo la prospettiva, sembravano innumerevoli braccia tese al cielo, come se qualche costruttore avesse provato a raggiungere dio senza riuscirci. Tanto ý inutile, non ci arriva mai nessuno fino a l“. Scommetto che ormai, alle porte del paradiso, la serratura ý piena di polvere.

Potevano essere le 3:00, o forse le 3:33, ma poi che importa? L'ennesimo brusco sobbalzo, causato da sospensioni che definire "rigide" sarebbe suonato perlomeno ironico, mi fece quasi sbattere la testa sulla capote grigia.

ÇCapolinea, amico: fuori i soldiÈ. Lo sguardo teso del tassista si rifletteva, fisso su di me, dallo specchietto retrovisore.

Gettai una manciata di dime sul cruscotto raggrinzito della vettura ed uscii dal mezzo sollevando il bavero del trench. Che fetida puzza di fumo, quello stramaledetto locale. Tentai un respiro profondo, interrotto a metˆ da un possente colpo di tosse grassa.

Il viale appariva lievemente annebbiato, parzialmente coperto da fogliame autunnale, totalmente deserto. Ne percorsi un breve tratto a passi stentati, riprendendomi gradualmente dalla sbornia, quando esplose un guaito. Ero improvvisamente inciampato, rovinando goffamente sul primo gradino del civico 19. Mi ritrovai a terra con un cucciolo di terrier che leccava il palmo della mia mano sinistra, avidamente, come se vi avesse trovato un monticello di zucchero. - Sei proprio uno stupido botolo - mormorai rassegnato verso il cagnolino, dopoodichŽ mi alzai per rientrare in casa.

Aprii la porta con poca fatica, dopo aver recuperato in otto rampe di scale metˆ della mia consapevolezza. Dato che durante il tragitto verso casa mi ronzava in testa "Hungry Freaks, Daddy", accesi frettolosamente una luce e rovistai nello stanzino alla ricerca di un vinile di Frank Zappa. Lo misi a fuoco dopo un paio di minuti, incastrato tra una vecchia copia di "Full of Life" ed una foto scolorita di mio padre con la divisa dei Colorado Rockies. Soffiai forte sullo strato di polvere che ricopriva lo scaffale, quindi estrassi il vinile dalla variopinta custodia e lo feci roteare lentamente tra le mie mani, facendo perno con l'indice sinistro infilato nel foro centrale del 7''. Starnutii di rimando, creando un lieve mulinello di polvere tra me ed il ripiano. Guardai attonito due ali di pulviscolo che si alzavano di scatto divergendo, poi roteavano sinuose e si ricongiungevano morbidamente, per adagiarsi infine sulla mensola, sulla mia mano, sul vinile. Posi quest'ultimo sul grammofono del salotto, che non usavo da un bel pezzo. La testina saggiò la ruvida superficie del disco, ed in pochi istanti la stanza si rivest“ di un imprevedibile beat elettronico.

Mentre Frank non le mandava certo a dire, lucidavo la mia macchina da scrivere, dimenticata un paio di mesi prima sotto al lavabo del cesso. La piazzai, con una risma di fogli stropicciati, al centro del tavolo della cucina. Quell'inverno era davvero terribile, cos“ iniziai a scrivere qualcosa sulla primavera. Qualsiasi cosa.

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