Uccise Crox, gli avvocati: «Non ci fu crudeltà, rivedere la condanna in primo grado»

10 Luglio 2025

I motivi del ricorso di uno dei due imputati minorenni: se accolti, la pena si riduce di un terzo. Le attuanti generiche «vanno riconosciute perché il ragazzo ha collaborato»

PESCARA. Mancata esclusione dell'aggravante della crudeltà e dei motivi abietti e futili; assenza della capacità di intendere e di volere al momento del fatto; mancata concessione dell'istituto della messa alla prova; mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; eccessiva quantificazione della pena e giudizio di bilanciamento delle circostanze; erronea quantificazione della pena. Sono i sette punti in base ai quali gli avvocati Massimo Galasso e Roberto Mariani chiedono ai giudici della Corte d'Appello dell'Aquila (sezione penale per i minorenni), con l'appena depositato ricorso, di rivedere in toto la condanna inflitta in primo grado (con il rito abbreviato) a 19 anni, 4 mesi e 10 giorni, ad uno dei due minori processati per la morte di Christopher Thomas Luciani, 16 anni, ucciso con 25 coltellate da due coetanei nel parco Baden Powel il 23 giugno dello scorso anno.

Parliamo del minore (figlio di un'avvocatessa) che per primo colpì alle spalle il povero Crox (come veniva chiamato dagli amici), mentre il coimputato (figlio di un carabiniere) che proseguì la "mattanza", venne condannato a 16 anni e anche per lui è in arrivo il ricorso in appello che sta stilando il suo nuovo difensore, Italo Colaneri.

Il ricorso. Si gioca non sulle accertate responsabilità dei due, ma, nel caso del ricorrente, sulla quantificazione giuridica dei fatti: vale a dire sulla esclusione delle aggravanti (una delle quali esclusa in sentenza, ma non, erroneamente, nella quantificazione della pena che comporta comunque una riduzione di 1 anno e 2 mesi). «Con pochi passaggi motivazionali - si legge nel ricorso nella parte che riguarda l'aggravante della crudeltà - la decisione non chiarisce in che cosa esattamente sia consistita tale circostanza».

I legali si soffermano sul risultato dell’autopsia e sulla immediata morte di Crox dopo le prime coltellate che raggiunsero il polmone: «La motivazione si sofferma esclusivamente sul calcio inflitto alla fine (senza specificare chi dei due autori l'abbia sferrato), stabilendo che ciò ha creato sofferenze ulteriori, senza tener conto che la perizia autoptica ha stabilito come in quel momento la vittima era già morta o comunque priva di sensi (tale quindi da non poter provare ulteriore sofferenza)». Quelle coltellate, per la difesa del primo accoltellatore, erano «orientate alla causazione dell'evento morte e non alla causazione di sofferenze ulteriori nella vittima».

Quanto alle aggravanti dei motivi abietti e futili, i legali sottolineano come «sul punto la sentenza impugnata non è condivisibile nella parte in cui, al fine di voler ritenere ad ogni costo sussistente l'aggravante, riconosce l'azione omicida dovuta ad un semplice pretesto (mancanza di rispetto), modificando il movente del debito di droga contestato nell'imputazione» (300 euro per dell'erba che la vittima aveva acquistato senza pagare ndr). «Non è possibile affermare che, in mancanza del debito contratto per la consegna dello stupefacente da parte della vittima, il tragico evento si sarebbe comunque verificato».

Nel ricorso si parla diffusamente anche della documentazione medica prodotta e della perizia psichiatrica che stabilì come l'imputato, al momento dei fatti, fosse capace, nonostante la patologia che lo affligge. Questo senza però tener conto della consulenza di parte e per questo la difesa chiede anche una nuova consulenza.

Il ricorso spiega perché vanno riconosciute: «Bisogna tener conto che l'imputato, incensurato, non ha in alcun modo ostacolato la ricostruzione della vicenda, ha preso atto del grave delitto commesso ed ha avviato nel periodo di detenzione un percorso di ravvedimento tale da renderlo ormai non più pericoloso per la collettività con certa prognosi positiva circa l'impossibilità di reiterare condotte criminose. Quando venne ascoltato nel corso del giudizio abbreviato, ha ammesso i fatti e rappresentato le scuse per la di lui condotta. Di conseguenza, le attenuanti invocate, tenuto conto dell'immaturità del minore anche alla luce della patologia che lo affligge, possono essere concesse».

Per i difensori la pena inflitta appare comunque eccessiva (anche alla luce del fatto che il fine del rito minorile «è unicamente la rieducazione del minore senza che vi sia alcun intento punitivo e retributivo») visto che il giudice (Cecilia Angrisano, presidente del tribunale minorile aquilano) è partita da 24 anni, «pena prossima al massimo edittale, mentre le modalità dell'azione, il carattere dell'imputato afflitto da grave patologia, la di lui condotta di vita da sempre corretta fino a tale momento, la condotta susseguente al reato, con la confessione e il riconoscimento dell'azione delittuosa, la richiesta di celere definizione con il rito abbreviato, sono tutti elementi che fanno ritenere la pena da applicarsi nei limiti del minimo edittale». Vale a dire che se dovessero venir meno le aggravanti, dai 19 anni e 4 mesi (meno 1 anno e 2 mesi erroneamente conteggiato), la pena potrebbe ridursi di circa un terzo.

@RIPRODUZIONE RISERVATA