TRAGEDIA VIADOTTO

Un anno senza Marina e Ludovica: "Manca la vitalità, la loro voce"

Parla dopo un anno Francesco Angrilli, fratello e zio delle vittime. "Su una cosa continuo a interrogarmi: almeno la bambina si poteva salvare" 

PESCARA. «Quella foto la guardo quasi tutti i giorni, perché in quello sguardo c’è tutto l’amore di mia sorella per la figlia, avuta tardi, a 41 anni. Marina avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere Ludovica». Un anno dopo la tragedia che ha sconvolto l’Italia, con l’immagine di Fausto Filippone attaccato per ore alla rete del viadotto autostradale da cui alla fine si è lanciato in diretta tv dopo aver riservato la stessa sorte alla figlia di 10 anni e dopo che poco prima aveva spinto giù da un balcone la moglie Marina Angrilli, il dottor Francesco Angrilli, responsabile dell’unita operativa Diagnosi e terapia dei linfomi dell’ospedale di Pescara, fratello e zio delle vittime, racconta questi mesi senza di loro.

Francesco Angrilli

Ricordi, pensieri, sentimenti per un’assenza che, come dice lui stesso, «fa rumore, tanto è silenziosa». Marina, con il marito Fausto e la figlia, abitava nell’appartamento al piano di sopra della palazzina di via Punta Penna della familgia Angrilli e da dove entrambe, lei e Ludovica, sono uscite quella domenica.
Era il 20 maggio. Marina, 51 anni, professoressa allo Scientifico “da Vinci”, quella mattina uscì con il marito per andare a comprare una lavatrice che non acquistarono mai, perché lui la portò nella casa di Chieti Scalo che solitamente affittava agli studenti. E Ludovica, che con i genitori si era rifiutata di andare preferendo restare con la zia materna nella palazzina di famiglia, fu recuperata un paio d’ore dopo dal padre, quando lui aveva già compiuto la prima parte della sua follia, e Marina, dopo quel volo dal balcone, era in fin di vita all’ospedale di Chieti. Ma non lo sapevano ancora i fratelli di Marina, e non lo sapeva Ludovica che raggiunse il padre correndo verso la pasticceria dove le aveva dato appuntamento. Per portarla alla morte, da quel maledetto viadotto di Francavilla, mentre moriva anche la madre.
Dottor Angrilli, che resta di quella mattina?
L’unico vero cruccio che mi rimane, nella ineluttabilità di quello che è successo, è che Ludovica forse poteva essere salvata. Un cruccio che nasce da come sono andate le cose a Chieti Scalo, dopo quello che era successo a Marina. Sentendo le varie ricostruzioni, tutti hanno parlato del marito come di una persona dal comportamento anomalo, non si capisce perché, quando arriva sul posto una volante della polizia, questa persona riesce a fare quello che gli pare. Riesce ad allontanarsi, per andare a prendere anche Ludovica. È questo che mi lascia una grandissima amarezza, perché per mia sorella non si è potuto fare più di quello che si è fatto, ma probabilmente per Ludovica la possibilità di salvarla c’era. Non punto il dito contro nessuno, come non ho fatto finora, ma su questo mi sono interrogato e mi continuo a interrogare.
Di questi tempi, un anno fa, che giorni erano?
In queste ore, di pomeriggio, c’era Marina che rientrava con Ludovica per poi riuscire subito dopo, perché passava dall’attività scolastica alla danza, l’equitazione; d’estate anche la scuola vela. Ludovica faceva tantissime cose, e riusciva in tutte, con grande entusiasmo. E poi c’erano i momenti serali, l’ora di cena, quegli incontri in coda alla giornata quando ci si salutava un po’ tutti quanti un attimo.
Com’è stato quest’anno?
C’è un grande vuoto che si percepisce giorno dopo giorno. Si cerca di andare avanti perché la vita è così, si cerca di vivere nel loro ricordo costante, di focalizzare sulle cose belle che loro hanno rappresentato per noi, cercando di non pensare alla tragedia che ce le ha portate via. Personalmente mi anestetizzo con il lavoro per molte ore al giorno, cosa che è più difficile per le mie figlie e soprattutto impossibile per mia madre. A 92 anni ha percepito benissimo che non è stato un incidente stradale come le è stato detto. Ma non chiede e non approfondisce per difesa. Ludovica era legatissima alla nonna e mia madre sente tantissimo la mancanza delle sue attenzione.
Qual è stato il pensiero più ricorrente in questo anno?
Che nella vita si tende a dare tutto per scontato, quindi l’amarezza di non essere stati insieme più di quanto lo siamo stati. Abitavamo nella stessa palazzina, ma il regime di vita attuale ci prende tanto sul lavoro e ci priva di momenti di condivisione. Ho imparato che la vita non è scontata, che può terminare in tanti modi da un momento all’altro.


E quale sentimento l’ha accompagnata?
Il senso di mancanza. Marina e Ludovica davano luce e colore alle nostre giornate. Nei loro rispettivi ruoli erano due grandissime trascinatrici. Hanno saputo impersonare la vita molto meglio di noi. Hanno goduto di ogni istante, io mi sono sempre meravigliato di come trovassero tutte quelle energie. Sia mia sorella che Ludovica erano instancabili. Ora dentro la nostra casa si percepisce quel silenzio rumoroso legato alla loro assenza. A me mancano quei rumori che allora, apparentemente mi davano fastidio e ora che non ci sono fanno male.
È tornato a casa loro?
Certo. La casa è vuota, ma è rimasta com’era. Ci vado per ritrovare un po’ della loro presenza, la loro voce, il loro odore.
Con la famiglia di suo cognato in che rapporti è rimasto?
Non ci sono grandissimi rapporti come non ce n’erano prima. Chi li frequentava assiduamente erano Marina e Ludovica.
Nei confronti di suo cognato, trova spazio il perdono?
Il tema del perdono non me lo sono posto e non so se me lo porrò mai. Vivo non pensandolo. Cerco di ricordare Marina e Ludovica attraverso le fotografie e ascoltando i filmati con le loro voci, perché purtroppo una cosa che si perde molto presto è proprio il ricordo della voce.
In questi mesi sono stati in tanti a ricordarle e un’altra occasione sarà lo spettacolo del 19 maggio al Flaiano organizzato dal Gal, il gruppo abruzzese linfomi. Quanto è importante la memoria collettiva?
Non si può dimenticare una cosa tanto violenta e inconcepibile. Loro sono il simbolo di quanto questa società malata riesce a fare di cattivo. Anche se sono sacrifici che sembrano non valere nulla perché ogni santo giorno accendendo la televisione si sentono episodi drammatici. Una lista infinita che non sembra interrompersi nei confronti delle donne e dei bambini. Lo spettacolo del 19 ha come tema centrale proprio la violenza contro la donna.
Come è organizzato?
Ci sarà una prima parte di ballo hip hop curata dalle mie figlie Anna e Claudia che ripercorrerà la vita di Marina e Ludovica, poi l’orchestra femminile del Mediterraneo e lo spettacolo teatrale dell’attrice Tiziana Di Tonno sul tema della violenza. Ma con il comitato organizzatore c’è l’accordo di ricordare Marina e Ludovica per come amavano la vita, non per rinnovare la ferita della tragedia.
Col senno di poi, si poteva prevedere?
Lui (Fausto Filippone ndr) al di là di una depressione prolungata per la perdita della madre, non aveva dato particolari segnali. Non era apparentemente un violento, e oggi dico purtroppo. Magari non sarebbe esploso in maniera così inaudita. Marina, per quello che raccontava a nostra sorella, non aveva mai percepito nulla che fosse minimamente pericoloso. Per l’amore che aveva per Ludovica avrebbe fatto di tutto per proteggerla.
Se pensa a sua nipote, cosa le viene in mente?
A tutte le grandi cose che avrebbe realizzato nella sua vita. Rimangono un patrimonio perso per tutti coloro che conoscevano questa bambina.
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