Un pennese sullla cima del Nanga Parbat in Pakistan

Delle Monache con Nardi e Santini per conquistare d’inverno la vetta chiamata "montagna del diavolo" e "mangiatrice di uomini"

PENNE. «Giochiamo a carte, beviamo tè, Roberto si diverte a scaldare le bombole di gas con l’acqua calda, Federico monta i video per il dispaccio, mentre il gas così riscaldato prende fuoco. Io mi crogiolo nella lettura e nella scrittura». Comincia così il racconto di Daniele Nardi e della sua voglia di cercare la prima ascensione in invernale del Nanga Parbat, che al nome urdu di montagna nuda affianca i soprannomi poco confortanti di «montagna del diavolo» e di «mangiatrice di uomini».

Nell'avventura in Pakistan, Nardi, nato a Sezze il 24 giugno 1976, famoso per essere il primo alpinista nella storia, nato al di sotto del Po, ad aver scalato l’Everest e il K2 (le due vette più alte al mondo), è accompagnato anche dall'alpinista pennese Roberto Delle Monache. L'obiettivo è la vetta del Nanga Parbat, 8.125 metri, passando dallo sperone Mummery, l’alpinista inglese che su questa montagna lasciò la vita nel 1895.

Tracciare una nuova via con condizioni climatiche a dir poco proibitive per i comuni mortali. Per Nardi e Delle Monache non si tratta della prima esperienza insieme: nel 2011, hanno conquistato la cima del Bhagirathi III (6.454 metri) in India. La spedizione sul Nanga Parbat è partita il 27 dicembre scorso. Con Nardi e il pennese Delle Monache, c'è anche Federico Santini (videomaker ufficiale della spedizione) che realizzerà un documentario prodotto dalla Sd cinematografica. Lo scorso anno, l'impresa di Nardi, oggi al terzo tentativo di arrivare in cima al Nanga Parbat durante la stagione invernale, venne stroncata da una valanga.

L'obiettivo quest'anno è lo stesso: aprire una nuova strada per raggiungere la sommità del monte pakistano. Gli alpinisti italiani si stanno muovendo su un terreno molto impegnativo: dal campo base, c'è prima un avvicinamento su un ghiacciaio infido e pieno di crepacci, poi l'arrampicata su ghiaccio e roccia dalle difficoltà davvero elevate.

«La via è più importante della vetta. Magari lo sperone Mummery riuscirò solo fra tre anni quando qualcuno avrà già raggiunto la vetta del Nanga Parbat in invernale, ma comunque resterà il messaggio», ha ripetuto spesso sulle pagine del suo blog.

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