UN PREMIER SENZA CONSENSO E' INDIGERIBILE

Viviamo di scadenze. Ansiogene quanto inutili. Ecco la prossima: giovedì 20 febbraio, giorno dedicato a Sant’Eleuterio, Papa e martire. Dunque, tra meno di due settimane sapremo se Enrico Letta continuerà a presiedere l’attuale malconcio governo. Oppure se, sedimentati all’interno del Pd umori e livori contrastanti, toccherà a Matteo Renzi dare il benservito al presidente del Consiglio in carica per prenderne il posto a Palazzo Chigi. Una partita a due tra il sindaco rottamatore e il premier galleggiatore. Ci attendono, insomma giorni di strappi e ricuciture, di sorrisi e colpi bassi. Come ai vecchi tempi della Democrazia Cristiana, “nonna” di tutte le battaglie anche per i “giovani” Enrico e Matteo.

Ma davvero il Pd, il partito di entrambi i duellanti, sarà in grado di decidere entro il 20 febbraio, come è stato annunciato l’altro giorno al termine di una surreale riunione della direzione? È tutto ancora da vedere, anche se per la prima volta il principale “azionista” del patto Letta-Alfano ha manifestato a voce alta ciò che da settimane viene ripetuto con un incessante borbottio: questo governo è sopportato alla stregua di un ospite indesiderato e fastidioso. Da liberarsene al più presto. Per manifesta inadeguatezza: dalla gestione dell’Imu, agli scatti di anzianità per gli insegnanti, dai costi della politica fino alle detrazioni fiscali che appaiono e svaniscono (ultima beffa: il dietrofront sulle agevolazioni – inutilmente annunciate – per chi acquista libri). Dunque se Letta non vuole galleggiare e Renzi non vuole la staffetta per scalzare anzitempo Enrico dalla poltrona di premier, non resterebbe che accelerare il profilo innovatore del governo in carica. A partire dai temi economici. Glielo dice un giorno sì e un giorno dopo ugualmente, anche la Confindustria il cui presidente Giorgio Squinzi è pronto ad appellarsi a Napolitano (pure lui) per dare una scossa a un Paese che non ce la fa più. Ma è improbabile che questo governo, con questa maggioranza, con queste risorse a disposizione, con questo limitato orizzonte temporale di azione, riesca a fare alcunché – non dico di miracoloso – ma di efficace per le imprese, per l’occupazione, per i giovani.

La tentazione pertanto per gli amici di Renzi – e ancor più per i nemici dentro e fuori il partito – di lusingarlo con l’ascesa a Palazzo Chigi è fortissima. Nuova fase, nuovo esecutivo, nuovo premier. Sarebbe un danno irreversibile. Per l’Italia innanzitutto. E anche per l’interessato. Perché nelle condizioni date nulla cambierebbe davvero nell’azione di governo. Strana maggioranza è oggi con Alfano e i suoi in temporanea libera uscita dalla potestà berlusconiana, strana maggioranza sarà anche eventualmente con Renzi premier. E ancor più strana, invero stramba, sarebbe se ritornasse nell’area governativa Forza Italia. Ipotesi sussurrata dal Cavaliere decaduto ma esclusa dal sindaco di Firenze. Insomma un governo di necessità esclude l’operosità, come hanno penosamente sperimentato i cittadini in questi dieci mesi.

Dopo Letta e Monti, un altro presidente del Consiglio senza consenso elettorale sarebbe indigeribile per la maggioranza degli italiani. Apparirebbe una manovra di palazzo, come nel 1998 il D’Alema che proprio Renzi ha voluto rottamare. Un colpo, forse definitivo, alla scarsa credibilità della politica: senza vittoria sancita dagli elettori non c’è consenso. In un sol colpo il segretario del Pd brucerebbe il nascituro governo e la sua stessa leadership. Non gli resta che lavorare con fatica e intelligenza sulla nuova legge elettorale e sulla riforma del Senato. C’è ancora tanto da correggere e migliorare. Solo dopo si potranno ipotizzare nuove elezioni e un nuovo governo. Sempre che Berlusconi non faccia saltare prima il tavolo. Le scorciatoie non sono ammesse.

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