Una calibro 38 in mano ai Ciarelli già 4 anni fa

16 Maggio 2012

Nel 2008 uno dei complici del presunto assassino dell’ultrà cercava proiettili per un'arma uguale a quella dell'omicidio Rigante

PESCARA. C'è un revolver calibro 38 identico a quello che ha ucciso Domenico Rigante nelle conversazioni intercettate nel 2008 a Domenico Ciarelli, finito in carcere come uno dei quattro presunti complici dello zio Massimo Ciarelli nell'omicidio dell'ultrà biancazzurro.

Una pistola che non si è mai trovata, come quella dell'omicidio Rigante, ma per cui a febbraio del 2009 il gip Maria Michela Di Fine contestò a Domenico Ciarelli la detenzione illegale di armi all'interno dell'ordinanza di custodia cautelare che portò in carcere 16 persone (tra cui gli stessi Domenico e Massimo Ciarelli), accusate a vario titolo di concorso in detenzione di sostanze stupefacenti a fine di spaccio.

Un'indagine avviata dai carabinieri a settembre 2008 e che portò alla luce il patto tra i rom e gli spacciatori locali per smerciare la droga a giovani insospettabili che si andavano a divertire a Pescara vecchia. Cocaina e hascisc che a un certo punto, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, di fronte alla richiesta sempre più crescente, i pusher pescaresi provano a procacciarsi scavalcando i rom e rivolgendosi direttamente ai grossisti napoletani da cui si sarebbe rifornito Massimo Ciarelli, beccato due volte con mezzo chilo di cocaina di ritorno dalla Campania (a ottobre 2008 e a gennaio 2009). È un patto che si rompe tra i rom e i «civili» che fino a quel momento avevano fatto affari insieme.

I carabinieri seguono passo passo questa alleanza che va in frantumi, attraverso blitz, pedinamenti e intercettazioni. Gli stessi investigatori stanno seguendo una trattativa per l'acquisto di una partita di cocaina (585 grammi) poi sequestrata il 28 ottobre 2008 a San Giovanni Teatino quando, durante una conversazione ambientale sull'utenza telefonica dell'interlocutore di Domenico Ciarelli, «veniva acclarato», come scrive il gip nell'ordinanza, «il possesso da parte di quest'ultimo e di Domenico Ciarelli di un revolver calibro 38 del quale gli indagati non riuscivano a reperire i relativi proiettili. Questo alla luce del fatto che Ciarelli era in possesso solo di proiettili calibro 38 Special, più grandi e per una diversa pistola, commentando il fatto che questi non corrispondevano al foro di ingresso del tamburo dell'arma che stavano in quel momento visionando».

Ed eccola la conversazione incriminata, con l'amico che dice a Domenico: «Ma tu dice che se è buono, no!!» e Ciarelli: «No, è buono, è buono, ma devi trovare i colpi... e chi me li dà i colpi». E l'altro: «Ma perché non spara proprio?». Gli risponde Domenico: «No, ma perché i colpi che ci ho io sono troppo grandi... 38 special... dobbiamo trovare i colpi di una 38 piccola...».

Una 38 piccola, dice Domenico Ciarelli, che non si è mai trovata, come precisò allora il suo legale, l'avvocato Giancarlo De Marco («Nessuna pistola venne trovata in seguito ad alcune perquisizioni successivamente effettuate»), ma che corrisponde all'arma usata da Massimo Ciarelli (come ha riferito la vittima prima di morire) la sera del primo maggio. Un'arma che secondo l'accusa ha sparato tre volte, due lungo il vialetto di via Polacchi e la terza contro il povero Domenico Rigante, vittima dell'agguato messo in atto dai sette rom (di cui cinque già in carcere) per vendicare la rissa del giorno prima in via delle Caserme tra Massimo Ciarelli e il gruppo del gemello Antonio Rigante.

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