Calcio

Calvarese: «Con la tecnologia cambia la figura dell’arbitro. Io modificherei il fuorigioco»

18 Agosto 2025

Serie A al via, le nuove regole. L’ex direttore di gara teramano ora moviolista: “La comunicazione? Un po’ per volta, un giorno arriveremo anche alle dichiarazioni al 91’”

Meno di una settimana al via della serie A, ai nastri di partenza con nuove regole inserite per rendere il calcio più appetibile: dagli arbitri che spiegheranno le loro decisioni fino ai portiere che rischiano di essere puniti con un calcio d’angolo qualora tratterranno (con le mani) troppo il pallone. Tutto pane per i denti di Gianpaolo Calvarese, 49 anni, di Teramo ex arbitro e oggi imprenditore e moviolista. La stagione è già partita con la Coppa Italia, ma il bello deve arrivare con il campionato e Calvarese cerca di spiegare quello che accadrà in campo e fuori.

Come impatteranno le nuove regole sulla Serie A? Qual è la novità più dirompente?

«Non è un anno in cui ci sono cambiamenti significativi su espulsioni come il DOGSO (fallo da ultimo uomo) o sui fuorigioco attivi e passivi, come invece era successo negli anni scorsi. Forse la novità più significativa è quella degli 8 secondi per i portieri: una norma finalizzata a rendere il gioco più spettacolare e a velocizzarlo. Sappiamo che l’ultimo tassello, quello che tutti invocano, è il tempo effettivo: ma nel calcio, che vive di emozioni, rapidità e tante interruzioni, sarebbe quasi impossibile introdurlo in forma piena. Con questi accorgimenti, però, ci si sta muovendo in quella direzione. Questa è la logica alla base del cambiamento».

Sarà più importante comunicare o saper arbitrare?

«Conta tanto saper arbitrare, ma bisogna considerare che in Serie A ci si arriva dopo una lunga gavetta, e non tutti gli arbitri hanno necessariamente una grande attitudine comunicativa. Negli ultimi anni, però, la figura dell’arbitro è cambiata in maniera repentina, soprattutto con l’avvento della tecnologia. Se prima un arbitro non si confrontava con la realtà dei social, il suo operato viene vivisezionato quotidianamente proprio attraverso questi strumenti, che hanno un impatto fortissimo. Per questo, oggi, saper comunicare è importante quanto saper arbitrare. I precursori in questo senso – Collina, Rosetti, Rizzoli – hanno fatto la differenza proprio perché lo avevano compreso prima di altri».

C’è una regola che lei inserirebbe per rendere il calcio più spettacolare?

«Io, che sono anche appassionato e collaboro volentieri con la Kings League, devo dire che qualche idea la “ruberei” proprio da lì. Se non vogliamo citare direttamente la Kings League, allora direi che una modifica che mi piacerebbe vedere riguarda il fuorigioco. Non mi piace così com’è pensato oggi: per rendere il calcio più spettacolare, lo rivedrei. Magari in futuro si potrà inserire un’interpretazione diversa o una modifica sostanziale. È un tema complesso, ma credo che intervenire sul fuorigioco potrebbe davvero cambiare il gioco».

Ormai il Var è diventato omogeneo al calcio? Nostalgia per il pallone di dieci anni fa?

«Sì, personalmente, resto legato al calcio romantico, quello in cui siamo cresciuti tutti, dove contava anche l’estetica del gioco e il talento puro. Un tempo avevamo calciatori italiani come Roby Baggio, che oggi non ci sono più. Forse è anche il segno di un movimento che ha cambiato priorità: meno fantasia, più fisicità e numeri. È inevitabile, ma un po’ di nostalgia resta».

Far parlare gli arbitri nel dopo partita aiuterebbe a smorzare le polemiche?

«Penso che prima o poi si arriverà anche a questo, rendendo ancora più mediatica anche la figura dell’arbitro con le interviste post-gara. Gianluca Rocchi ha detto provocatoriamente che, se dessero all’arbitro il premio partita come al miglior calciatore o a un altro protagonista in campo, allora li farebbe parlare. Io credo che, in linea di massima, l’Aia dovrebbe investire molto su una comunicazione innovativa e quindi la risposta è sì… ma non adesso. Oggi non credo che siano pronti a gestirlo, e devo ammettere che anche i media non lo sono. Serve prima una maggiore cultura calcistica e arbitrale da parte di tutti, altrimenti si rischia di ottenere l’effetto opposto».

Ha sofferto il distacco dall’Aia?

«No, dal punto di vista lavorativo. Sono convinto che tutto abbia un inizio e una fine, e bisogna saper intuire quando è il momento di dire basta, anche se si tratta dell’esperienza più bella e gratificante della propria vita professionale. Quello che invece, come per qualsiasi altro atleta, si paga, è la mancanza dell’adrenalina della gara e del post-gara: quella mancherà sempre».

Moviolista su Prime per la Champions: è cambiato il suo modo di vedere il calcio dal campo alla televisione?

«Sì, anche se con qualche difficoltà iniziale. Dopo qualche tempo – ormai sono quattro anni – mi sono messo dall’altra parte della barricata. Dal punto di vista lavorativo è davvero interessante vedere le cose dalla prospettiva delle squadre, dei calciatori con cui collabori, degli addetti ai lavori e persino dei registi: significa aprire la mente e conoscere realtà che il giorno prima pensavi distanti da te. Oggi penso che se tornassi ad arbitrare con questo bagaglio, sarei più forte».

Qual è la critica che l’ha ferita di più nella sua carriera?

«Più che una critica in sé, che fa parte del gioco e può essere persino costruttiva quando rimane nei termini dell’educazione, quello che mi ha fatto più male è stato, una volta uscito, confrontarmi con squadre, allenatori e giocatori e scoprire che alcuni sono convinti che noi arbitri non siamo in buona fede. Tanti calciatori e anche qualche allenatore lo pensano, e questo mi ha davvero ferito».

Il momento più difficile?

«Sicuramente dopo Fiorentina-Napoli del 2013, una partita sbagliata dopo una lunga striscia positiva. Non avevo ancora la struttura mentale e le spalle larghe per gestire un errore così grande anche a livello mediatico. Erano altri tempi, e a pensarci oggi, con il Var, non sarebbe accaduto». Il giocatore più corretto che ha incontrato? «Devo essere sincero: ne ho incontrati tanti di giocatori corretti. Forse è il contrario: in quasi 15 anni di carriera e con tantissime squadre arbitrate, si contano sulle dita di una mano quelli davvero scorretti».

Il miglior arbitro oggi?

«Premessa: bisogna tarare il giudizio su un arbitro in base alla sua esperienza. Un direttore di gara che ha alle spalle 200 partite non è paragonabile a uno che ne ha arbitrate 20, così come un chirurgo che ha operato per anni non è uguale a uno al suo ventesimo giorno di lavoro. Per questo oggi non ho dubbi: Andrea Colombo stacca tutti gli altri di una spanna. Pur essendo solo da pochi anni in Serie A, il comasco dirige i big match con padronanza e serenità».

Da appassionato di calcio, qual è la squadra che gioca meglio?

«Negli ultimi due o tre anni, la squadra che mi ha entusiasmato di più è stata l’Atalanta di Gasperini. Mi è piaciuto vedere partite in cui sembrava davvero un calcio giocato a una velocità europea, diversa da quella tipica italiana».

Riceve telefonate di protesta da parte dei suoi ex colleghi per i suoi giudizi?

«No, mai ricevuto chiamate dai miei ex colleghi, che conosco benissimo e con cui ho condiviso anche 25-30 anni di attività, semplicemente perché ci sono tanta stima e rispetto reciproco, e proprio per questo c’è anche il rispetto dei ruoli. Come io non chiamo colleghi con cui ho condiviso anni di percorso, così loro non chiamano me per lamentele o recriminazioni».

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