Calvarese in A: vorrei dirigere la gara scudetto

«I miei idoli sono Rosetti e Morganti E’ fondamentale sapere tutto dei calciatori»
TERAMO. Il migliore, l’arbitro più bravo dell’ultimo campionato di serie B a detta degli organi tecnici (che l’hanno promosso in serie A) e degli addetti ai lavori (premio della Lega Bwin): Giampaolo Calvarese, 36 anni, di Teramo, raccoglierà l’eredità di Pasquale Rodomonti, l’ultimo direttore di gara abruzzese in serie A che ha appeso il fischietto al chiodo nel 2006. Continuità di rendimento e personalità le caratteristiche di Calvarese, eletto miglior arbitro anche in Lega Pro, nel 2008. E’ un ingegnere della Provincia di Teramo distaccato all’univeristà di Chieti. Oggi è il fiore all’occhiello della sezione Aia di Teramo che negli anni ha sempre sfornato fior di arbitri. Mercoledì è stato a Campo di Giove al raduno dei direttori di gara abruzzesi: ha raccontato la sua esperienza a una platea di 60 ragazzi che ambiscono a ripercorrere la sua carriera. Domani, invece, a Coverciano parteciperà al raduno della Can A.
Calvarese, come ha iniziato ad arbitrare?
«Per caso. Ero un ragazzino, avevo riportato un infortunio nel corso di un torneo estivo. All’epoca giocavo nelle giovanili del Vomano calcio. Volevo mollare tutto; un amico, conoscendo la mia passione per il calcio, mi ha iscritto al corso Aia e ora eccomi qui».
Arbitro si nasce o si diventa?
«Ci deve essere del talento che poi va affinato con passione e determinazione».
Che vita fa l’arbitro?
«Una vita da atleta dal punto di vista fisico e da professionista per quel che riguarda gli atteggiamenti».
Come ci si prepara a una partita?
«Io cerco di sapere tutto. Chi gioca, chi non gioca. E, soprattutto, nel tempo assumo informazioni utili su ogni singolo giocatore: il piede preferito, i movimenti, le caratteristiche e altro ancora. E poi per ogni casistica ho in mente una soluzione, studiata al video, osservando le azioni delle partite».
Sia più chiaro.
«Ad esempio un fallo di mano. Se vedo direttamente non c’è problema; se non ci riesco, allora a seconda del rimbalzo del pallone provo a capire come è andata l’azione e a valutare se è fallo o meno e se è volontario o meno. Chiaramente, tra il ragionare e il decidere passano frazioni di secondo. Pochissimi istanti».
Serve anche una certa preparazione mentale.
«La velocità del calcio è elevata e i tempi di reazione di un arbitro devono essere immediati. Per riuscire a sbagliare il meno possibile devi avere lavorato bene in settimana, sia in campo che davanti al video».
Quando ha cominciato a credere di poter fare l’arbitro a certi livelli?
«Dopo un Avellino-Salernitana in Lega Pro. Era il 2006 e me la sono cavata bene davanti a 15.000 persone in un derby molto sentito. Dopo quella partita ho cominciato a credere di poter ambire al salto di qualità».
Ha fatto molte rinunce?
«Più che altro ho sacrificato la famiglia; resta poco tempo a disposizione tra la professione da portare avanti, i viaggi e il lavori a Coverciano».
Che cosa le dà soddisfazione?
«Personalmente, sono orgoglioso nel vedere avanzare le nuove leve. Mi riferisco ai vari Di Martino, Paterna e De Remigis».
Mai una delusione cocente, mai pensato di mollare cammin facendo?
«Quando arbitravo tra i dilettanti qualche tentennamento l’ho avuto. Ricordo che l’ex presidente della sezione Aia di Teramo, Piero Di Francesco, ben presto mi rimise sulla retta via. Probabilmente, non avevo ancora coscienza delle mie potenzialità. Lui mi diede fiducia».
Qual è stato il suo modello?
«Cerco di rubare qualcosa da tutti. Ma se proprio devo fare dei nomi, dico Rosetti e Morganti. Il primo per l’eleganza, il secondo per la tenacia».
Ma i calciatori quando protestano con l’arbitro hanno qualche possibilità di fargli cambiare idea?
«Nel mio caso no, perché quando intervengo so quello che faccio. Certo, se vedo una protesta clamorosa do un’occhiata agli assistenti, perché potrebbe essermi sfuggito qualcosa».
C’è un episodio in cui un calciatore lo ha aiutato nel prendere una decisione in mezzo al campo?
«Ricordo con piacere quanto che si è verificato nell’ultima stagione, Sampdoria-Verona. I veronesi reclamavano un fallo di mano in area doriana del difensore Gastaldello; non ho visto bene in quell’occasione e allora sono andato da lui e gli ho chiesto: “Hai toccato il pallone con la mano?”. Lui mi ha guardato e mi ha sorriso, facendomi capire di non averla toccata. Infatti, aveva deviato il pallone con una spalla».
Perché a Teramo ci sono stati così tanti arbitri di alto livello?
«Io credo nell’importanza dei modelli e nella sezione Aia di Teramo ce ne sono stati tanti negli ultimi anni».
Come si arbitrano le partite?
«Il 90% con la testa e il 10 grazie ai mezzi fisici. Bisogna sempre ragionare in mezzo al campo e avere il cervello acceso».
Anche lei è intrattabile alla vigilia?
«Lo dice sempre mia moglie, sarà vero non lo so. Di certo, dal giovedì sera inizia l’assunzione di informazione sui giocatori, meticolosa e determinata. Arrivo allo stadio concentrato già sulla partita».
Come si reputa?
«Un arbitro aperto al dialogi, certo, ma alla fine decido io. A mio avviso, un buon arbitro è quello che si nota il meno possibile; la partita la fanno i calciatori. Sono loro al centro dello spettacolo e il direttore di gara deve intervenire solo quando si va sopra le righe».
Il rapporto con l’assistente?
«In parte delego. Di certo, sul fuorigioco mi fido ciecamente della segnalazione che mi arriva».
Esiste la sudditanza psicologica?
«No, solo il rispetto per le persone e per i professionisti. D’altronde, il nostro è un servizio di terzietà».
Il miglior amico tra gli arbitri?
«Daniele Orsato di Schio, perché è un grande uomo oltre che un grande arbitro».
A chi dedica la promozione in serie A?
«Dedica scontata ma sentita: alla famiglia. Alla famiglia allargata, ovvero a tutti quelli che hanno creduto in me e mi hanno dato la forza per salire così in alto».
Ha un sogno nel cassetto?
«Arbitrare provando le stesse sensazioni. Un giorno mi piacerebbe dirigere una gara decisiva per lo scudetto. Il sogno è continuare ad essere ambizioso, ma credo che la felicità sia accontenersi di quello che ho costruito negli anni».
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