Basket

Cancellieri, l’unico tecnico abruzzese in serie A di basket: «Devo tutto a Teramo»

15 Ottobre 2025

Dai trionfi nella sua città e a Milano ai successi in Francia e Grecia. Adesso è il coach dell’Aquila Basket Trento

TERAMO. Schietto, diretto e mai banale. Nella vita così come in panchina, sulla quale ha costruito una carriera lunga e vincente. Massimo Cancellieri, il tecnico teramano alla guida dell’Aquila Basket Trento in serie A, rappresenta attualmente l’unico allenatore abruzzese nella massima serie. Eppure l’imprinting con la palla a spicchi fu quasi frutto del caso.

Cancellieri, la carriera parte proprio dalla sua Teramo con cui apre un ciclo vincente.

«Sono capitato in un momento storico per la pallacanestro teramana, eppure all’inizio non pensavo di voler fare l’allenatore di basket».

In che senso?

«Studiavo lettere classiche a Roma e il mio sogno era di diventare docente a scuola. Mi sarebbe piaciuto insegnare latino ai ragazzi, ma ad un certo punto mi chiamarono Gramenzi e Antonetti per propormi un ruolo da vice allenatore in B1. Il resto è storia con due promozioni consecutive fino alla serie A».

Quanto è stato importante Gramenzi nella sua carriera?

«Franco è più di un amico fraterno. Fu il mio istruttore quando avevo nove anni e lui diciotto e il primo a farmi innamorare della pallacanestro. Un giorno mi chiamò per dirmi che mi aveva iscritto ad un corso di formazione di cui lui era organizzatore. Io non ne ero convinto, anche perché nella mente c’era sempre l’idea dell’insegnamento, ma lui insistette. Nei momenti di confusione sul mio futuro professionale, mi portava sempre a casa sua condividendo video di partite di basket da analizzare insieme. Insomma, gli sarò grato a vita per tutto quello che ha fatto con me».

Nei tre anni di Teramo, qual è stato il momento in cui ha capito che forse Cicerone o Seneca non facevano per lei?

«La scelta di diventare allenatore non è stata presa a tavolino. Forse oggi le direi che sia stato un folle a gettarmi nel vuoto, ma mi è andata molto bene. Quelli a Teramo sono stati anni formativi per la gestione del gruppo, lavorando per personalità come Boni o Grant. Mi aiutò a rimanere concentrato, capendo che la vocazione all’insegnamento poteva passare da una cattedra alla panchina».

Oggi purtroppo la piazza di Teramo è scomparsa dal panorama nazionale.

«Da teramano mi è dispiaciuto molto. Quello che ha fatto Antonetti vent’anni fa forse sarà irripetibile, ma sono convinto che presto o tardi qualche altro imprenditore si farà avanti, perché Teramo ha il dna della pallacanestro».

Dopo Teramo, le parentesi a Montecatini, Biella e Veroli prima dell’arrivo alla corte di Giorgio Armani a Milano: qualche ricordo speciale?

«Da assistente, lo incontravo solo in poche occasioni. Non avevo un rapporto personale, ma per me era un onore lavorare per la sua azienda».

Il primo tecnico all’Olimpia fu Banchi, il nuovo ct dell’Italbasket.

«Conoscevo Luca già in precedenza. Abbiamo costruito un’amicizia solida prima ancora di un rapporto di lavoro. Mi ha aiutato a crescere come allenatore. Abbiamo vinto lo scudetto al primo anno contro Siena, ma mi ha aperto le porte ad un’esperienza pazzesca durata sei anni a Milano. Cosa che nemmeno nei sogni più belli pensavo di realizzare».

Ad esempio?

«Ho affrontato il CSKA a Mosca, ho vissuto notti bellissime di Eurolega, ho sfidato Obradovic, senza considerare tutti i fenomeni allenati».

Il più forte secondo lei o, comunque, quello con cui era davvero bello lavorare?

«Troppi per dare una risposta netta. Le dico Vlado Micov per la sua affidabilità e completezza tecnica, ma anche Mike James, talento puro».

Invece il tecnico che l’ha influenzata di più nel corso degli anni?

«A questa domanda non rispondo, altrimenti qualcuno ci rimane male (ride, ndr). In realtà tutti mi hanno lasciato qualcosa».

Se le dico Ravenna? «Una sfiga bestiale. Nel 2019 si era creato un gruppo coeso ed era facile allenare quei ragazzi. Il pubblico ci sosteneva in modo caldo, poteva essere una grande stagione per la promozione in A, ma poi ci siamo fermati per il Covid. Forse uno dei “what if” più grandi della mia carriera».

Poi le esperienze in Francia, tra Limoges e Strasburgo. Cosa le hanno lasciato?

«Limoges sembra Teramo, una piccola realtà di provincia in cui si respira pallacanestro e dove c’è una storica tradizione. Lì è stato facile ambientarmi, invece a Strasburgo mi è servito più tempo, essendo una zona di frontiera con culture diverse dalla tua».

Invece a Salonicco è diventato un eroe nazionale.

«Il Paok è una realtà storica del basket greco, lì abbiamo ricreato entusiasmo e la pallacanestro è una religione tatuata sul petto. Davvero incredibile».

Da pochi mesi è a Trento, forse una piazza più equilibrata?

«Quando arrivi in città, sembra che la conosci da sempre. Sanno come includerti, gli interessa il tuo presente e ciò che sei oggi, senza pregiudizi. Bellissimo».

Oltre alla pallacanestro, come impiega il suo tempo libero?

«Vedendo partite di pallacanestro (ride, ndr). La sera torno a casa e mi vedo l’Eurolega perché anche la mia famiglia ama il basket. Altrimenti mi piace fare zapping sul digitale. Lo so, forse sono boomer e non ho account Netflix. Ma nei quattro anni all’estero mi è mancata la tv italiana. Vado alla ricerca soprattutto di programmi di cinema. Altrimenti mi piace ascoltare l’indie-rock americano».

E i classici latini?

«Diciamo che non sono più praticante (ride, ndr), leggo poco ma mi piacerebbe prendermi la laurea prima o poi».