Francesco Repice, una voce nel pallone: «Io, Totti e il calcio moderno»

Il popolare radiocronista sportivo della Rai si racconta prima dell’appuntamento con il Premio Marciano a Ripa Teatina
Appassionato e fedele narratore da oltre dieci anni delle gare della Nazionale tricolore, nonché delle più importanti partite delle squadre italiane. Francesco Repice è The Voice di Rai Radio Sport e sarà ospite sabato sera a Ripa Teatina, in occasione del Festival Rocky Marciano. «Parteciperò con piacere a una manifestazione che conosco ed apprezzo da tempo. Anche perché il pugilato mi appassiona e ricordo ancora con emozione la mia radiocronaca della vittoria olimpica di Roberto Cammarelle ai Giochi di Pechino del 2008». Sicuramente uno di quelli in grado di far “vedere” una partita anche attraverso la radio. «Sono consapevole della fiducia che mi accorda l’ascoltatore. Spero e credo di non deluderla, convinto che raccontare trasmettendo emozioni rappresenti una dote. O ce l’hai, oppure no». Per lui, da quasi trent’anni in Rai, la grande scuola di “Tutto il calcio minuto per minuto”, fino ad accompagnare per diverso tempo, come seconda voce, le radiocronache di Riccardo Cucchi. Nella serata di Ripa Teatina, magari, si finirà per parlare di calcio moderno, di tatticismi esasperati e di un rapporto particolare, quello con il Var, tra un fuorigioco millimetrico e un tocco di mano impercettibile, a destare qualche perplessità. «Non mi piace. Il calcio ha sempre vissuto di emozioni, diatribe ed errori, sia da parte dei giocatori che degli arbitri. E credo che il Var abbia nel complesso finito per togliere, attraverso la tecnologia, una buona dose di spontaneità al gioco, senza peraltro porre fine alle polemiche. Che ci sono state e ci saranno ancora».
Intanto, risaliamo ai tempi del calcio in bianco e nero, per la prima volta sublimate dalle emozioni del colore.
«Ero piccolo e mio padre mi accompagnò allo stadio Olimpico per un derby. Il verde del prato sotto il sole, l’incitamento della folla e le bandiere. Erano i tempi del coro ritmato: Ciccio Cordova-Cappellini-Del Sol, ogni tiro è n’gol», racconta Repice, «da quel momento la Roma ha rappresentato per me una forma di religione, un qualcosa che ho vissuto in maniera totale e coinvolgente».
Sì, ma come la mettiamo con l’amico Cucchi che, il giorno del pensionamento, dichiarò pubblicamente la sua vecchia fede laziale?
«Nessun problema. Riccardo è una persona preparata e sportiva. Credo abbia sopportato bene l’esuberanza di un cialtrone come me, innamorato pazzo dei colori giallorossi».
Fino al punto di…
«In seguito a una insufficienza in latino, mio padre, per punizione, mi proibì di assistere a un derby. Avevo conosciuto una ragazza bellissima che mi propose, quel pomeriggio, di andare al cinema per vedere un film di Dario Argento. Accettai portando però con me una radiolina con l’auricolare».
Così, con calcolata noncuranza. Al gol vincente della Roma, messo a segno da Giovannelli quasi allo scadere, accade però l’irreparabile.
«Beh, diciamo che mi lasciai andare nell’esultanza e venimmo mandati fuori dal cinema. La ragazza? Non si fece più vedere».
Ovviamente. Si scherza, si sorride e si arriva a un’altra immagine di parecchi anni dopo.
«Quella relativa all’addio di Francesco Totti al calcio. Mia la radiocronaca, mia anche una sensazione difficile da esprimere al di là dell’aspetto professionale. Ecco, sono del parere che Totti rappresenti uno dei più grandi pensatori dell’era moderna, comunque per tanti una persona di famiglia, uno che, per venticinque anni, ha accompagnato le tue giornate. Che dire. Auguro ai tifosi di qualsiasi squadra di poter immedesimarsi in un giocatore con il suo senso di appartenenza».
Già, di qualsiasi squadra, Perché Francesco Repice, per gli ascoltatori, resta sicuramente un narratore attento, imparziale e comunque appassionato, fino al punto di interrompere la radiocronaca di un collega, cosa prevista solo in caso di gol, rigore o termine dell’incontro, in occasione dell’uscita dal campo di Alex Del Piero il giorno del suo addio al calcio.
«Beh, sentii quasi il dovere di farlo. Per un giocatore simbolo e per il sentimento che stava coinvolgendo lo stadio intero. In ogni caso, al di là di tutto, lavorando in Rai, l’imparzialità deve rappresentare la regola. E, se qualche volta alzo i toni, è solo per le radiocronache degli azzurri e quelle, in campo internazionale, delle squadre italiane».
Come accaduto di recente in occasione di Inter-Barcellona, semifinale di Champions League.
«Una partita esaltante, davvero difficile da dimenticare. E, a proposito dell’Inter, ricordo bene la stagione del triplete con José Mourinho in panchina».
Qualche anno dopo, le strade della Roma e dello stesso Mourinho hanno finito per incrociarsi.
«Lo considero il più grande di tutti e, a chi lo critica, basta semplicemente indicare il numero di trofei che ha vinto. Con la Roma si sono vissute tante emozioni, con un entusiasmo alle stelle e due finali europee con più di una recriminazione legata alla seconda».
Si parla di allenatori. Inevitabile un accenno alla decisione, da parte di Silvio Baldini, di lasciare il Pescara dopo la promozione in serie B.
«Impossibile giudicare scelte personali; posso solo dire che Baldini è bravo. Sotto vari aspetti. Uno che ha portato diverse squadre al salto di categoria. Non resta che condividere la famosa frase di Giampiero Boniperti: vincere non è importante, ma è la sola cosa che conta. Al tirar delle somme, è proprio così».
A proposito di professionisti bravi, due nomi, tra tanti radiocronisti che lei pone su un gradino più alto.
«Considero insuperabile, per certi versi, Sandro Ciotti, ma il mio mito assoluto resta Victor Hugo Morales. Straordinario il suo commento alla rete clamorosa del grande Maradona contro l’Inghilterra nel Mondiale del 1986».
Le ultime riflessioni divise tra il mare dell’amata Calabria, terra natia dove The Voice, dove torna appena può, e i programmi futuri, con un calcio profondamente cambiato, un campionato-spezzatino e partite, considerando le Coppe europee, quasi ogni giorno.
«Il tutto sembra inevitabile, visto che viene chiesto alle società di spendere tanto per competere, magari anche a livello internazionale. I soldi necessari arrivano in massima parte dalle piattaforme televisive ed è normale che le stesse pongano determinate condizioni. Però, se penso che si sta giocando ancora, e che tra un po’ si torna in campo per la preparazione, la cosa mi preoccupa. Il timore, lo dico da appassionato, è che questo mondo finisca per implodere. Speriamo di no».