Personalità e stimoli per ammaliare Pescara

Da Galeone a Zeman: il marchio è il 4-3-3 e una squadra all’attacco
A Pescara gli allenatori di basso profilo non attecchiscono. Non hanno vita lunga. Quelli campo e casa non incidono, quelli che si chiudono senza capire la città oltre il rettangolo di gioco finiscono anzitempo il loro lavoro. C’è bisogno d’altro per resistere e conquistarsi stima e considerazione. In primis personalità. A memoria d’uomo sono due i tecnici che hanno lasciato traccia nel cuore del popolo biancazzurro: Giovanni Galeone e Zdenek Zeman. Galeone è il profeta, dall’alto delle due promozioni in serie A coincise con un’epoca di fermento ed evoluzione di Pescara, mentre al boemo è legata una stagione irripetibile con talenti lanciati e poi finiti in Nazionale. Loro due più dello stesso Massimo Oddo che pure ha portato la squadra in serie A. Sulla strada delle leggende biancazzurre c’è anche Silvio Baldini non solo perché ha vinto i play off: soprattutto perché ha fatto sognare la piazza. Ha indicato una mèta, ha regalato un sogno da inseguire. E poi l’ha trasformato in realtà. Gli allenatori a Pescara hanno un marchio: il 4-3-3. Quelli vincenti, perché allenano in una città che ha bisogno di alzare sempre l’asticella. È esigente. Qui il compitino non basta, qui il basso profilo equivale all’immagine del perdente. No, a Pescara c’è bisogno di un sognatore. Che un tempo poteva essere Giovanni Galeone e oggi è Silvio Baldini, capace di conquistare la piazza prim’ancora che la serie B. Di domare un ambiente in ebollizione, per un motivo o per l’altro. Dare unicità alla squadra di calcio è la mission di un tecnico che ambisce a lasciare traccia in biancazzurro. Sempre all’attacco, mai accontentarsi. Non a caso molti hanno vita breve. Per trovare un altro allenatore che ha iniziato e finito la stagione in riva all’Adriatico bisogna tornare indietro addirittura al 2018-2019, in serie B: Bepi Pillon. È arrivato alla semifinale play off persa contro il Verona, entrando nel cuore della gente, percorrendo una strada diversa da Baldini.
Per il resto Pescara era e resta una piazza difficile per un allenatore. E da queste parti sono passati Mazzone e Castagner negli anni Ottanta. Più recentemente Maurizio Sarri. Per non parlare di Marco Baroni, ora al Torino e stabilmente in serie A. Hanno fatto più o meno bene. Ma senza attecchire nel cuore della tifoseria biancazzurra. Baldini c’è riuscito perché anche nei momenti di difficoltà non si è mai rifugiato nelle frasi fatte, ma ha parlato guardando sempre in faccia la realtà. Ha dimostrato personalità e carattere. Tenendo a bada e conquistando anche un presidente, Daniele Sebastiani, da sempre amico della categoria degli allenatori. Ha toccato le corde giuste dei giocatori e della piazza. Li ha motivati, per certi versi li ha spinti ad andare oltre le loro potenzialità. Ed è stato sempre credibile. Un allenatore non banale com’era nell’identikit di chi lo ha scelto e portato a Pescara. Certo, poi, pensi anche alle coincidenze. Alla tifoseria che un anno fa era in fibrillazione per Attilio Tesser garanzia di un campionato di vertice e che accoglie Silvio Baldini come un ripiego per il semplice motivo che aveva accettato un’offerta economica più congrua. Strani incroci come quando nel maggio del 1976 il compianto Vincenzo Marinelli aveva fatto tutto o quasi per portare Giovanni Trapattoni a Pescara e poi gli è stato soffiato dalla Juventus. Quell’estate in panchina è arrivato Giancarlo Cadè e il Pescara ha concluso il campionato al secondo posto con 49 punti, alla pari col Cagliari e con l'Atalanta rendendo quindi necessari gli spareggi per decretare le due promosse: grazie a due pareggi a reti inviolate con Cagliari e Atalanta, il Pescara si è classificato secondo ottenendo così la promozione, la prima in serie A. Incroci e destini di uomini e panchine.
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