Quando Senna applaudiva il Pescara allo stadio Adriatico

Galeone, Reja e Gino Pilota tra i suoi cari amici in Abruzzo «Si informava sulle chance di salvezza dei biancazzurri»
PESCARA. A casa Pilota lo aspettavano per il giorno dopo la gara di Imola come capitava ormai da anni. Un legame forte con Gino e la moglie Jutta, uno di famiglia, che fosse un campione, il più forte della Formula Uno, era solo un trascurabile dettaglio. La storia era cominciata nell'88, proprio nella stagione del suo primo trionfo mondiale, da allora Pescara faceva comunque parte del suo mondo. In quella villa sulla collina di Francavilla, ora di proprietà di Jarno Trulli, Ayrton Senna ha ancora la sua stanza, piena di foto e ricordi che non cancellano momenti felici di una vita tragicamente spezzata in quell'ultimo maledetto Gran Premio, il 1° Maggio 1994.
La pastasciutta di Michele da Eriberto, le insalate che preparava la Jutta, le trigliette che riusciva a procurarsi il padrone di casa, le partite di tennis con Tommaso Tucci alla Campagna, le macchinette da corsa radiocomandate con le quali ingaggiava sfide tiratissime in giardino con Gerhard Berger, austriaco, pure lui pilota di Formula Uno, le volate con la moto d'acqua sul mare di Francavilla, le sudate sulla pista dello stadio Adriatico per tenersi in forma. «Arrivava alla fine del nostro allenamento con la 500 rossa di Gino», racconta Gianni Galeone, pure lui assiduo di casa Pilota, «lo aspettavano Italo Rapino e il custode, con Edi Reja, che lo assisteva, cominciava a fare giri di campo a velocità sempre più sostenuta».
«E io per la verità», precisa l'attuale allenatore della Lazio, «dopo i primi 400 metri mi fermavo proprio perché non ce la facevo a stargli dietro. Era capace di farne almeno dieci di giri. Un perfezionista anche per quel che riguarda la preparazione. E poi, quando si tornava a casa, passava ore a rivedere il filmato della sua ultima gara, cercando di scoprire eventuali errori o difetti della macchina.
Tre, quattro giorni, a volte una settimana di relax e lavoro con i suoi amici di Pescara, una presenza discreta, riservata, per anni un appuntamento fisso dopo Monza e Imola ma anche qualche blitz a sorpresa lontano dai giorni delle corse, assieme alla mamma e alla sorella Viviane. «Era diventato anche un po' tifoso del Pescara», dice Gianfranco Mazzoni, giornalista abruzzese che racconta la Formula 1 per la Rai, «ricordo che un giorno, penso fosse il '93, prima di una gara in Australia mi chiese se ce l'avrebbe fatta ad evitare la retrocessione. Nel '92 giocò pure all'Adriatico con la squadra dei piloti contro una rappresentativa di politici e allenatori. Finì 4 a 4 e lui segnò anche un gol».
«La ricordo anch'io quella partita», aggiunge Galeone, «sicuramente correva più di tutti ma si capiva che non era quello il suo sport preferito. Un ragazzo eccezionale, questo sì, una persona squisita, semplice, trasparente, un campione come uomo e non solo al volante».
Dei suoi amici pescaresi l'ultimo a vederlo prima della tragedia fu Edi Reja: «Quell'anno allenavo il Bologna», racconta, «il sabato pensai di andarlo a trovare a Imola. Appena mi vide mi venne incontro e mi abbracciò, mi portò con lui e restammo a parlare per un po'. Era nervoso, mi confessò che non era soddisfatto di come erano andate le prove, c'era qualcosa che non lo convinceva sull'assetto della vettura. Poi la domenica, mentre andavo in auto allo stadio sentii alla radio la notizia dell'incidente. Quel ricordo terribile me lo porterò dietro per sempre».
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