Appalto teatro romano di Teramo Pannella svela le carte della denuncia

Oggi Brucchi in procura come teste sul mega appalto per ristrutturare il monumento

TERAMO. «Danneggiamento del patrimonio storico, archeologico e artistico d'interesse nazionale». E' questa l'ipotesi di reato formualata nell'esposto, firmato dal leader radicale Marco Pannella e dal presidente di Teramo Nostra Piero Chiarini, sul recupero del teatro romano. Oggi il sindaco Maurizio Brucchi sarà sentito in procura come teste chiave dell'inchiesta aperta dopo la presentazione della denuncia. IL VINCOLO. Il documento ricostruisce tutti i passaggi della vicenda. «Nel 1998», affermano Pannella e Chiarini, «il ministero dei Beni Culturali e Ambientali impose su palazzo Adamoli il vincolo archelogico e nel 2000, allo scopo di recuperare la cavea del teatro romano, destinò 910 milioni di lire per l'acquisto e la demolizione dell'edificio». L'atto venne inviato a Comune e sovritendenza per esercitare la prelazione sull'acquisto dell'immobile.

DIRITTO SFUMATO. Un anno dopo palazzo Adamoli venne messo in vendita. La sovrintendenza avviò la procedura per far valere la priorotà sull'acquisizione ma qualcosa andò storto. «Il Comune, pur ricevuta tale notizia già in data 28 novembre 2001», prosegue l'esposto, «solo il 15 gennaio 2002 ritenne di dover esercitare il diritto di prelazione, appena quattro giorni prima della scadenza del termine». Nonostante questo, il ministero emanò immediatamente il decreto per l'acquisizione inviandolo via fax all'amministrazione. «L'atto venne protocollato dal Comune solo il 24 gennaio, ben sette giorni dopo l'invio, e cinque giorni dopo la scadenza dei termini per la prelazione».

LA DOPPIA VENDITA. Il diritto cadde e il finanziamento ministeriale sfumò. Nel 2000 l'immobile era stato acquistato per 905 milioni di lire dall'Immobiliare Costa Verde che, il 23 gennaio 2002 lo cedette all'Immobiliare 11 di Juanita Maurini, con sede a Milano, «all'incredibile prezzo di di 1.239.496,56 euro», spiega l'esposto, «somma che non appare certo giustificata e proporzionata per l'acquisto di un bene destinato alla demolizione, gravato da un vincolo archeologico e pagato due anni prima meno della metà».

IL TERZO ACQUISTO. Da quel momento la vicenda rimane sopita per un lungo periodo per riemergere a fine 2004. «La Regione acquista l'edificio a un prezzo di circa 1.300.000 euro, quasi il triplo di quello che poteva (e doveva) essere pagato quattro anni prima, con lo scopo di procedere alla demolizione per riportare alla luce il teatro romano».

LA BEFFA. L'operazione, però, non è perfetta. «In data 8 settembre 2008», scrivono Pannella e Chiarini, «si scopre che due stanze poste al piano terra del palazzo non sarebbero state cedute, con la conseguenza di dover sborsare ulteriore denaro pubblico per procedere all'abbattimento». La beffa diventa completa quando, nel 2010, viene rimosso il cantiere che chiude l'edificio. «Non solo non si è proceduto ad alcuna demolizione», fa notare l'esposto, «ma addirittura son state poste in essere opere di "restauro" con l'edificazione di un enorme contrafforte di cemento armato che, collocato quasi al centro dell'area del teatro, produce uno scioccante e deturpante impatto architettonico».

IL DANNO. Da qui deriva l'ipotesi di reato di «danneggiamento al patrimonio archeologico, storico ed artistico». Per Pannella e Chiarini, tra l'altro, il deturpamento rischia ora di essere aggravato dallo spostamento di oltre 1.400 reperti custoditi nell'area del teatro. Il trasferimento è previsto dal progetto di pulizia, in realizzazione con una spesa di oltre 1,5 milioni di euro, e che prelude al pieno recupero del monumento.

© RIPRODUZIONE RISERVATA