C’è la crisi: è meglio non fare sciopero

Il caso Bentel di Corropoli rischia di diventare nazionale: la maggioranza dei lavoratori boccia la protesta dei sindacati

CORROPOLI. Non è più il tempo dei picchetti, degli scioperi ad oltranza, degli slogan contro il “padrone”. Che l’aria sia cambiata lo testimonia quanto accaduto lunedì alla Bentel Security di Corropoli dove il sindacato è andato in minoranza: l’assemblea del personale ha votato contro un pacchetto di 10 ore di sciopero per chiedere l’avvio delle trattative per un contratto integrativo.

Dei 133 dipendenti dell’azienda che produce sistemi di allarme e che fa parte della multinazionale canadese Tyco all’assemblea erano presenti almeno in 90: 32 hanno votato per lo sciopero e una quarantina contro, gli altri si sono astenuti. «Abbiamo votato contro per due ordini di motivi», spiegano alcuni lavoratori, «lo sciopero non l’abbiamo ritenuto opportuno specialmente in questo periodo di crisi: crea danni per i ritardi nell'uscita dei prodotti ma crea anche difficoltà di rapporti con la casa madre che potrebbe decidere di portare la produzione altrove». In effetti la Tyco a novembre 2009 decise di chiudere la Bentel e aprì una procedura di mobilità per 124 dei 154 dipendenti: la multinazionale voleva disinvestire dal sito di Corropoli. All’epoca ci fu un braccio di ferro alla vecchia maniera, con tanto di scioperi e la Tyco decise di tornare sui propri passi. «Adesso potrebbero riproporre la decisione di andar via: ci sono consegne da fare e tempi da rispettare», aggiungono i dipendenti che già in occasione del precedente sciopero, sempre per l’integrativo, si sono dissociati, «e noi non vorremmo rischiare il nostro posto di lavoro per qualche spicciolo in più».

Un altro motivo riguarda proprio il contratto aziendale. Adesso l’azienda distribuisce premi a chi ritiene meritevole e solo 14 lavoratori sono senza incentivi. «Non tutti d'accordo sulla contrattazione di secondo livello che “spalma” incentivi su tutti e non fa riferimento alla meritocrazia», incalzano i lavoratori anti-sciopero, «dare riconoscimenti in base all’impegno di ognuno è normale nelle aziende americane e quindi anche alla Tyco. Per questo la casa madre non comprende il concetto di contratto integrativo».

I sindacati incassano con eleganza e un pizzico di amarezza. «Di fronte alla “chiusura” dell’azienda ad avviare una trattativa, i lavoratori temono di avere un "bollino rosso" se fanno sciopero», commenta Giampiero Dozzi, segretario della Fiom Cgil, «sono gli effetti della crisi, che viene utilizzata per erodere il potere contrattuale di sindacato e lavoratori. E' prevalsa la paura. Riprenderemo comunque l'attività guardando allo sviluppo del piano industriale, che è la cosa che abbiamo principalmente a cuore. Bisogna però riflettere sul fatto che un'impresa che produce utili fra 3 e 4 milioni non rende possibile la contrattazione a livello aziendale. Noi continuiamo a ritenere che i 14 lavoratori tagliati fuori da qualsiasi indennità, tranne l’elemento perequativo, siano discriminati». «E’ evidente che è forte la paura che la multinazionale vada via», aggiunge Antonio Liberatori, segretario della Fim Cisl, «noi abbiamo deciso di non forzare la mano e di non creare una spaccatura fra i lavoratori. Non sarebbe servito a niente. E’ un sintomo della crisi, nonostante l'azienda abbia chiuso in utile la preoccupazione ha prevalso, con la voglia di non irritare la multinazionale. Quello che a me fa rabbia è che la contrattazione di secondo livello significa coinvolgere maggiormente i lavoratori, condividendo obiettivi e strategia, migliorando produttività ed efficienza. Invece secondo la cultura americana chi è al comando premia a modo suo la gente».

©RIPRODUZIONE RISERVATA