Caporalato: teste difende gli imprenditori agricoli

Ieri mattina è stato sentito un teste della difesa. L’uomo ha dichiarato: «Il giovane che viveva nella roulotte ogni giorno faceva la doccia a casa loro e cucinavano per lui»
TERAMO. A raccontare per sempre il caso, qualsiasi epilogo giudiziario possa avere, resterà l’immagine di quella vecchia roulotte rovente d’estate e gelida d’inverno diventata alloggio di un uomo. A quasi un anno dai fatti, in tribunale prosegue il processo a carico di mamma e figlio imprenditori agricoli (la 50enne Nicoletta Di Fabio e il 25enne Marco Di Francesco) imputati per un presunto caso di caporalato ai danni di un migrante marocchino. I due (la donna nella sua veste di rappresentate legale) sono indagati per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro con violazione dei contratti nazionali e delle norme sulla sicurezza del lavoro. Davanti alla giudice monocratica Claudia Di Valerio ieri mattina sono stati sentiti due testi delle difese (rappresentate dagli avvocati Franco Patella e Lidia Serroni). Si tratta di due amici dell’uomo e in particolare di un vicino di casa che nei momenti in cui non lavorava andava a dare una mano nell’azienda agricola di Sant’Atto. L’uomo in aula ha detto che il giovane marocchino che viveva nella roulotte ogni giorno faceva la doccia nell’abitazione degli imprenditori e che la donna preparava il pranzo per tutti. «Lui», ha detto l’uomo, «prendeva i pasti e andava mangiare nella roulotte perché mi diceva che a casa si sentiva a disagio. Era una sua scelta». L’uomo ha aggiunto che si lavorava dalle 7.30 del mattino alle 12, 30 e poi dopo la pausa pranzo fino a verso le 16, 16.30. Si torna in aula a gennaio con gli ultimi testi. Il migrante si è costituito parte civile rappresentato dall’avvocato Guido Talarico