Cent’anni di calcio tra cadute e risalite

La costante: una perenne ricerca della stabilità societaria
TERAMO. Il 1913 che compare sullo stemma della società ed è ritenuto comunemente l’anno di nascita del Teramo calcio è in realtà, più correttamente, l’anno in cui si è cominciato a giocare al calcio a Teramo con una leggendaria partita in piazza d’Armi organizzata dallo studente Umberto De Titta. Differenza non da poco, visto che una vera società che partecipasse a un campionato ufficiale non nacque prima del 1929. E neanche avrebbe potuto, visto che in città fino a quell’anno non c’era un campo di calcio regolamentare.
La costruzione del vecchio Comunale, che il Regime volle e realizzò espropriando gli orti tra corso Porta Romana e il fiume Tordino, dette il via a un’attività ufficiale che, per qualche anno, fu segnata da grande precarietà e provvisorietà. La prima società, l’A.S. Teramo (colori sociali: giallo e rosso), per disputare il campionato di Terza divisione con giocatori quasi tutti non abruzzesi e un allenatore ungherese (Armand Halmos) spese così tanto da dover chiudere subito i battenti. La rimpiazzò l’A.S. Gran Sasso, che adottò i colori biancorossi e fece quasi la stessa fine: dopo il secondo posto nella Seconda divisione 1930-31 la squadra, troppo costosa, venne smantellata. Seguirono un paio d’anni di attività non ufficiale, poi la Gran Sasso risorse nel 1933-34 prima di sciogliersi definitivamente nel 1935. Teramo restò di nuovo senza calcio ufficiale, ma nell’autunno 1936 un gruppo di appassionati costituì l’Interamnia che, con il terzo posto nella Prima divisione 1938-39, si guadagnò l’ammissione alla serie C. La C dell’epoca era a 15 gironi, più o meno un torneo interregionale, ma rappresentava comunque un punto d’approdo prestigioso. L’A.S. Teramo – erede dell’Interamnia – la affrontò in maniera competitiva ottenendo un quarto (1940) e un terzo (’41) posto e valorizzando il talento locale Dino Lanciaprima, che finì al Torino in A e poi al Pescara in B.
La guerra fermò il calcio a Teramo fino al 1946, quando la S.S. Teramo riprese l’attività in serie C e poi in Promozione Interregionale. Furono anni, quelli del dopoguerra, molto difficili a livello economico e societario, con un continuo succedersi di presidenti. La retrocessione del 1951 nella Prima divisione abruzzese fu subito riscattata dal ritorno in Promozione nel 1952, ma il Teramo di allora ambiva a tornare in un campionato nazionale e cominciò la rincorsa all’allora IV serie: dopo un secondo e un terzo posto, i biancorossi allenati da Spartaco Bulgarelli vi approdarono vincendo la Promozione nel 1955. Dopo tre discrete stagioni, alla Teramo sportiva venne voglia di serie C. La squadra di Filippo Calabrese arrivò seconda a un solo punto dalla Maceratese nel ’58-59 ma si guadagnò comunque la categoria superiore grazie alla riforma della C, che diventò semiprofessionistica a tre gironi. Il Teramo 1959-60 resta un mistero per chi lo vide giocare. Era uno squadrone, dicono tutti, eppure retrocesse. La C tanto agognata venne dunque perduta subito e da lì cominciò il decennio più difficile del calcio teramano.
Dopo due anonime stagioni in serie D il grave deficit finanziario della società causò, nel 1963, una retrocessione annunciata. Nella Promozione 1963-64 arrivò il riscatto (spareggio decisivo vinto a Termoli) e si giocò un’inedita stracittadina con l’Interamnia. L’immediato ritorno in D non cancellò i problemi societari e seguì nel 1966 un’altra amara retrocessione nella Prima categoria abruzzese. Nel 1967-68 la prima squadra di Teramo era l’Interamnia, ripescata in D, ma nell’estate ’68 le due società decisero la fusione. Nacque l’U.S. Teramo (primo presidente Antonio Profeta) che riuscì già nel ’69 a risalire in D grazie a un ripescaggio. Da quell’anno e fino al fallimento del 2008 il Teramo avrebbe disputato solo campionati nazionali: cinque di serie D con crescenti ambizioni e poi, dal ’74, 18 di C consecutivi. Allo splendido primato in D del ’73-74 con Feliciano Orazi in panchina e Francesco Lombardi presidente seguì un’indimenticabile stagione da neopromossi in C. Lo squadrone di Eugenio Fantini, del bomber Pulitelli e dei 24 risultati utili consecutivi sfiorò la B arrivando terzo a tre punti dalla prima. Cominciò poi l’era tecnica di Maurizio Bruno: quattro campionati di fila in C con un altro terzo posto nel ’76 e la conquista, nel ’78, di un posto nella neonata C1 professionistica. Le difficoltà societarie tornarono però a prendere il sopravvento e il Teramo perse la C1 già nell’80.
Presidente, quell’anno, diventò Ercole De Berardis. Che mise fine al tourbillon di presidenti dei ’70 (dopo Lombardi si erano susseguiti Rabbi, Pedicone e Chiodi) e avviò la faticosa riconquista della terza serie nazionale. Dopo la delusione degli spareggi persi nell’85, con Giorgio Rumignani in panchina arrivò, nel 1986, un’indiscutibile promozione in C1. Esigenze di bilancio imposero lo smantellamento progressivo di quello squadrone e il Teramo retrocesse dalla C1 nell’88, anno in cui l’ascolano Marino Costantini rilevò la società per soli cento giorni prima di mollare. Cominciò un altro periodo buio, con infruttuosi tentativi di azzerare i debiti. Presidente nell’89 divenne Nanni Cerulli Irelli, che tra mille problemi condusse la società fino al 1997. Sul campo arrivarono la retrocessione nel Cnd del ’92 e il trionfale ritorno in C2 del ’94, poi tre stagioni anonime al termine delle quali un Cerulli ormai esausto cedette la società a Romano Malavolta junior, giovane rampollo di una famiglia di industriali dell’alimentare. Il Teramo aveva finalmente una proprietà forte e tanti soldi da spendere. Di fatto, ne spese fin troppii. L’obiettivo del ritorno in C1 venne centrato nel 2002, con Zecchini alla guida tecnica e il bomber albanese Myrtaj uomo decisivo, dopo quattro tentativi sfortunati (e tre play off persi). La prima stagione in C1 fu splendida e sfortunata (play off per la B persi con il Martina), poi cominciò il declino di Malavolta. Sempre meno soldi e sempre più problemi, non solo tecnici e di bilancio ma anche e soprattutto caratteriali e di salute. La retrocessione in C2 del 2007 fu solo l’anticamera del fallimento del 2008. Nell’anno in cui Teramo aveva un nuovo, grande stadio, non aveva più la squadra.
Poi è arrivato Campitelli da Canzano. In molti a Teramo l’hanno guardato con sufficienza e con sorrisi ironici. Si sbagliavano, eccome. Con Campitelli sono arrivate una solidità e una programmazione societarie mai viste prima e quattro promozioni in sei anni. Il Teramo, morto nel 2008, nel 2014 è tornato in quella terza serie nazionale che era stato il suo massimo storico. Stavolta, però, non era un punto di arrivo.
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