Congedi ingiustificati dal lavoro: devono risarcire il danno alla Asl

I due dipendenti avevano usufruito di centinaia di permessi retribuiti per assistere familiari malati ma secondo i giudici le assenze erano immotivate: dovranno restituire oltre centomila euro
TERAMO . Le prolungate assenze dal lavoro non erano giustificate. Con questa motivazione la Corte dei conti ha confermato in appello le condanne a carico di due dipendenti della Asl. Entrambi sono stati riconosciuti responsabili di danno erariale nei confronti dell’azienda sanitaria teramana per un totale di oltre 105mila euro che, salvo ulteriori disposizioni, dovranno versare di tasca propria. M.P. e D.P., zio e nipote originari di Atri, in circa quattro anni hanno accumulato rispettivamente 729 e 608 giorni di congedo straordinario retribuito. Per i giudici non ne avevano diritto.
LA CONTESTAZIONE
I due hanno usufruito dei permessi per assistere congiunti malati. Questa motivazione, però, è stata smontata nella sentenza di primo grado che ha sancito la condanna al risarcimento del danno erariale. P.M. e D.M. hanno impugnato il pronunciamento della sezione abruzzese della Corte dei conti adducendo due motivi: l’applicazione del principio del ne bis in idem, per il quale non si può essere giudicati due volte per la medesima imputazione, in quanto era in corso anche un procedimento penale sulla vicenda, e violazioni relative all’onere della prova e all’erronea valutazione delle stesse.
il secondo giudizio
Su questi aspetti, dunque, è stata chiamata a pronunciarsi la prima sezione d’Appello presieduta da Agostino Chiappiniello. In base al primo motivo di impugnazione, secondo i due dipendenti Asl, anche in forza di quanto sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo sul principio del ne bis in idem, il giudizio da parte della magistratura contabile andava sospeso in attesa della conclusione del procedimento penale. «La più recente evoluzione della giurisprudenza richiamata dagli appellanti, mostra che la ricostruzione offerta dagli stessi è priva di pregio», evidenziano, però, i giudici di secondo grado, richiamando una sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo secondo cui «non vi è alcuna violazione della Convenzione, nel caso in cui, come nella specie, la parte sia soggetta all’irrogazione di sanzioni penali e di altre misure di tipo riparatorio, in quanto il divieto del ne bis in idem non è applicabile quando l’ordinamento pone in essere una reazione coordinata dinanzi allo stesso fatto illecito».
il meccanismo
Per gli aspetti relativi alle asserite violazioni dell’onere della prova e all’erronea valutazione della stessa i giudici ripercorrono la vicenda, partendo dal presupposto normativo che l’assistenza collegata al congedo straordinario dal lavoro richiede la convivenza con il familiare di cui ci si fa carico in modo continuativo. Per questo, secondo i magistrati contabili, i due dipendenti Asl avrebbero trasferito le residenze loro e dei congiunti da assistere, ma senza dare seguito concretamente a quanto dichiarato sulla carta. «Dal compendio documentale istruttorio, si evince in modo inequivocabile che D.P. e M.P. non vivevano con i familiari in modo stabile e continuo, limitandosi solo per M.P. a presenze sporadiche, compatibili con il rapporto filiale, ma non idonee a giustificare la fruizione di un congedo a tempo». I giudici, a sostegno di questa valutazione, citano testimonianze e altri elementi raccolti dalla guardia di finanza nel corso delle indagini. «Viene quindi pienamente confermata», concludono, «la contestazione a carico degli appellanti».
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