Costantini: Chiodi che ruolo ha?

Si accende il caso politico sul presidente della Regione-socio dello studio di commercialisti, il capogruppo Idv: se l'inchiesta cresce, chiederò che si dimetta

PESCARA. «Grazie ad una eccellente attività di indagine da parte degli inquirenti che trattano questo caso, l'inchiesta sembra matura. Ciò che resta da scoprire, ed a mio parere interessa anche la politica, è il ruolo svolto in questa vicenda dallo studio professionale del presidente Chiodi». Il capogruppo in consiglio regionale dell'Idv Carlo Costantini torna a parlare delle inchieste teramane. Lo fa tre settimane dopo che aveva criticato di immobilismo la Procura su «certe vicende» («a dispetto di quella pescarese») rendendosi disponibile ad incontrare gli stessi magistrati (la Procura aveva detto che l'avrebbe convocato). Costantini in questa intervista non rivela se è poi stato davvero ascoltato dai pm, ma prende spunto dall'inchiesta sulla bancarotta da 3 milioni per chiedere chiarimenti al governatore Gianni Chiodi sui suoi rapporti con lo studio del commercialista Carmine Tancredi.  

Costantini, è sorpreso dagli sviluppi che sta avendo l'inchiesta?

«I meccanismi che avrebbero portato e fatto sparire all'estero i milioni di euro sottratti in modo fraudolento alle banche, ai fornitori ed all'erario, sembrano ormai svelati e ricostruiti. Tra l'altro anche la meta dei denari, l'isola di Cipro e la Città di Strovolos, mi riferiscono sia una destinazione molto familiare per gli ambienti che contano a Teramo e, dunque, non sorprende nessuno». 

Non è sorpreso neanche del fatto che gli indagati avrebbero fatto il nome del socio di Chiodi?
«Guardi, è come se ci trovassimo di fronte a un bivio. Se dovesse accertarsi che Tancredi non c'entra nulla, ma proprio nulla, potrei limitarmi a suggerire a lui ed a Chiodi di prestare maggiore attenzione ai clienti che fanno entrare nel loro studio professionale, se non altro per il ruolo di rappresentante di un'intera regione che Chiodi stesso ricopre. Se, invece, dovesse accertarsi che Tancredi c'entri mani e piedi, allora la questione sarebbe molto più delicata». 

Può spiegarsi meglio?
«Avremmo un presidente di Regione che mentre gestisce miliardi di euro dei cittadini abruzzesi, allo stesso tempo consente, nella migliore delle ipotesi a sua insaputa, che nel suo studio si organizzino bancarotte e truffe per milioni di euro, con tanto di consulenze per l'occultamento dei proventi di queste attività illecite nei paradisi fiscali. Sarebbe davvero troppo, anche perché nel corso di questi anni Chiodi ha dimostrato che il dottor Tancredi non è solo il suo socio in affari. È molto di più; è la persona di cui ha detto di fidarsi ciecamente ed alla quale ha affidato la gestione delle fasi più delicate ed ancora controverse del suo mandato. Basti pensare alla consulenza che gli ha affidato per risolvere l'impasse di Abruzzo Engineering. Ma anche a tutti gli altri ruoli. Ricordo i fondi Jessica, i rapporti con la Bei, la presidenza dell'organo di revisione contabile dell'Enit, che non sono mai venuti fino in fondo alla luce, considerata la sua reticenza a rendere trasparenti ed accessibili tutti gli incarichi di consulenza che affida».  

Chiodi, secondo lei, dovrebbe tornare a chiarire la sua posizione? 
«Al momento, non resta che aspettare che gli inquirenti completino i loro acceramenti, augurandoci tutti che l'Abruzzo non venga travolto da un altro scandalo. Per quanto riguarda il nostro presidente, meriterebbe senza dubbio una tirata d'orecchie nel caso in cui l'inchiesta si dovesse rivelare un ordinario caso giudiziario di truffe e bancarotte, condito dall'esportazione di capitali all'estero; se invece ci dovesse essere qualcosa di molto peggio, non esiterei, un minuto dopo, a chiedere a Chiodi di dimettersi». (a.mo.)

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