Evasori assolti per crisi, la Cassazione non li salva

Per i giudici della Suprema Corte l’imprenditore deve pagare le tasse anche se vanta crediti dallo Stato. A Teramo già scagionati diversi imputati

TERAMO. In un garbuglio di fascicoli e procedure, di vite vissute e articoli di codice penale, la crisi non sarà più un’ esimente per l’imprenditore che non riesce a pagare le tasse: lo hanno stabilito i giudici della terza sezione penale della Cassazione con la sentenza numero 52038 depositata qualche giorno fa e raccontata ieri sul Sole 24 Ore.

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A Teramo, ma non solo, negli ultimi mesi sono state numerose le assoluzioni di piccoli imprenditori finiti a processo per non aver pagato tasse, non aver versato contributi, non aver corrisposto l’Iva: tante storie di uomini e donne, molti creditori di somme da parte dello Stato per appalti pubblici, che con gli ultimi fondi di cassa hanno scelto di pagare i lavoratori. Ma per la Suprema Corte pagare gli stipendi non giustifica l’evasione.

Per i giudici i motivi che vengono fatti valere nelle aule a sostegno dell’argomentazione per il mancato riconoscimento del dolo sono tre: aver pagato i lavoratori per evitare i licenziamenti, aver pagato i fornitori per scongiurare richieste di fallimento, non aver riscosso crediti documentati nei confronti dello Stato. Secondo il nuovo pronunciamento degli ermellini, però, nessuna di queste situazioni, benchè provata e documentata, può far riconoscere quello stato di necessità che ha portato molti giudici ad assolvere.

Non lo è la scelta di pagare in via preferenziale i lavoratori; non lo è il rischio di fallimento che, sostiene la Cassazione, può essere chiesto anche dall’Erario; non lo è il credito vantato nei confronti dello Stato perchè, ricorda la Suprema Corte, è la legge a stabilire nel dettaglio in che modo stabilire la compensazione del debito tributario. Qualche mese fa, sempre la terza sezione aveva annullato la condanna di un imprenditore catanese per il mancato versamento dell’Iva rimandando tutto all’Appello. In quel caso, secondo i giudici della Suprema Corte, «nella sentenza di secondo grado non era stata valutata la specifica situazione che aveva portato l’uomo ad evadere: perchè l’imprenditore sapeva di dover pagare ma non lo ha fatto perchè materialmente obbligato a scegliere tra gli stipendi e l’imposta».(d.p.)

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