Fabiana bruciata e abbandonata, i genitori: «Vogliamo giustizia»

Un 50enne albanese è indagato per spaccio, soppressione di cadavere e morte come conseguenza di altro reato: «Grazie alla pm per averci restituito il corpo, ora speriamo che il responsabile venga imputato»
GIULIANOVA. «Giustizia per la nostra Fabiana, nessuno dimentichi quello che è successo»: parole e immagini si intrecciano a memoria e dolore perché da un momento in poi l’esistenza vira, cambia la percezione delle cose. Soprattutto quando è la violenza dirompente a dare la consapevolezza che nulla sarà più come prima. I genitori e il fratello di Fabiana Piccioni, la 46enne di Giulianova che a gennaio è stata trovata carbonizzata dopo un malore causato da un mix di stupefacenti, cesellano parole per chiedere che nessuno dimentichi la brutalità dei fatti.
Perché il dolore è materia delicata e ci sono molti modi di raccontarlo. Anche passando dai ringraziamenti a chi ha trovato sempre le parole giuste per comunicare l’indicibile. Perché ci sono gesti che resteranno per sempre. Per questo i familiari di Fabiana vogliono ringraziare la pm Greta Alosi (che indaga sul caso) per aver disposto la restituzione del corpo di Fabiana i cui funerali si sono svolti qualche settimana fa, esattamente il 10 ottobre, giorno in cui avrebbe compiuto 47 anni.
Ora chiedono di conoscere la verità. «Auspichiamo», dicono mamma Giulia, papà Franco e il fratello Alessandro (i primi due rappresentati dall’avvocato Pier Francesco Manisco, il terzo dall’avvocato Antonino Orsatti), «che le indagini svolte ad ampio spettro e con grande scrupolo dai carabinieri, possano convergere in modo convincente sull’uomo indagato sul quale, secondo le notizie circolate, parrebbero gravare gravi indizi». E aggiungono: «Noi familiari e tutti coloro che conoscevano bene Fabiana siamo sempre stati dubbiosi circa l’ipotesi di un abuso volontario di un mix di sostanze stupefacenti. Noi familiari ci affidiamo alle valutazioni conclusive che la Procura di Teramo vorrà trarre in modo da poter avere al più presto un responsabile per la morte della nostra Fabiana e per l’efferata offesa al suo cadavere».
È un’inchiesta che gira sull’elica del Dna quella sulla morte della 46enne trovata semi carbonizzata il 9 gennaio scorso dopo un malore letale causato da un mix di sostanze stupefacenti. Nel registro degli indagati qualche settimana dopo il ritrovamento è stato iscritto il nome di un 50enne artigiano albanese con le accuse di spaccio di droga, soppressione di cadavere e morte come conseguenza di altro reato. Gli accertamenti affidati ai tecnici del Ris hanno stabilito che nel vano posteriore del furgone dell’uomo sono state trovate tracce biologiche il cui Dna corrisponde a quello della donna.
Un indizio? Sicuramente è un dato di particolare rilevanza scientifica che ora carabinieri e inquirenti devono inserire nel complesso mosaico di tessere che una dopo l’altra stanno mettendo insieme in una indagine sviluppata in un contesto non facile come quello che gravita nel mondo omertoso della tossicodipendenza. L’indagine già dai primi momenti ha ricostruito che l’artigiano conosceva bene la donna e nei giorni successivi alla scoperta del corpo era stato lui stesso a chiamare i carabinieri per dire che era pronto a fornire delucidazioni sulle sue frequentazioni con la vittima ma che non c’entrava niente con la sua morte e con quello che era successo.
Lo aveva fatto con una telefonata dall’Albania dove in quel momento si trovava e dove si trova anche attualmente. Quando rientrò a Giulianova si presentò ai carabinieri per raccontare che conosceva la 46enne, che si erano visti così come era già successo anche altre volte in passato, ma che sicuramente non sapeva cosa fosse successo e che l’ultima volta che l’aveva incontrata era stato poco prima della sua scomparsa avvenuta il 2 gennaio. Ma le indagini, soprattutto quelle basate sull’incrocio di tabulati e celle telefoniche, avrebbero rivelato altre circostanze a cominciare poprio dagli esami sul Dna.
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