Idra Q, l'incubo degli armatori: temiamo che ci riportino in cella

Le drammatiche parole del motorista Massimo Liberati dopo che i militari si sono opposti al dissequestro della nave

TERAMO. «Quello che posso dire che qui è un tunnel senza luce, siamo in un paese senza regole». Sono le drammatica di Massimo Liberati, il direttore di macchina della Idra Q., il motopesca oceanico da circa tre mesi trattenuto in Gambia. Il motorista di San Benedetto del Tronto racconta la situazione e, soprattutto, lo stato d’animo di quanti sono ancora sequestrati nel paese africano, sorvegliati a vista nel porto della capitale Banjul da militari armati, anche se il giudice ha disposto il dissequestro della nave e la liberazione dell’equipaggio.

«Dopo la sentenza del tribunale di Banjul», racconta Liberati, raggiunto al telefono, «dovevamo essere rilasciati insieme all’imbarcazione. Invece, non si sa il motivo, le persone che dovevano liberare la nave si sono rifiutati di farlo. In un paese civile una sentenza del giudice viene applicata, ma qui è diverso. Siamo in Gambia e qui tutto può accadere. La diplomazia ha iniziato l’ennesimo percorso sperando che sia la volta buona». Liberati lancia anche un altro preoccupante messaggio: «Anche se poco probabile, abbiamo sempre la paura che ci possano riportare in prigione, situazione questa che non auguro neppure al mio peggiore nemico. Una situazione di prigionia che ti devasta il cervello. Una situazione che solo chi come noi ha vissuto in quelle anguste celle può capire, nessun altro può nemmeno immaginare. Non dico altro perché c’è da piangere, comunque dobbiamo farci coraggio sperando che Dio ci assista».

Una testimonianza da brividi fatta da Liberati che nel carcere della capitale africana ha trascorso 7 giorni, due settimane quelle in carcere per il capitano della nave, Sandro De Simone di Silvi. Una prigionia da incubo con piccole celle senza acqua e servizi igienici insieme a molti detenuti comuni. Prigioni, quelle del Gambia, definite dai dossier di Amnesty International, come tra le più dure al mondo. Le notizie che arrivano dal paese africano sono scarse: tutto quello che si sa è che i militari non hanno eseguito la sentenza dei giudici, rifiutando di dissequestrare l’imbarcazione e di riconsegnare i documenti nautici e i passaporti ai 25 membri dell’equipaggio. La sentenza doveva trovarea pplicazione lunedì scorso, l’Idra avrebbe dovuto raggiungere Dakar, in Senegal, dove la socetà armatrice, la Italfish di Martinsicuro, ha una sede operativa. Di lì i tre italiani – a bordo anche il nostromo Vincenzino Mora di Martinsicuro – sarebbero tornati in patria con un aereo. Dalle scarne notizie che arrivano da Gambia sembra che i militari abbiano chiesto un nuovo processo. Un braccio di ferro tra istituzioni che porta la situazione ancora in forte stallo.

La soluzione passa nelle mani della Farnesina, tramite l’ambasciata italiana a Dakar . Il parlamentare abruzzese Gianni Melilla, di Sel, fa sapere di avere «appena scritto al ministro agli Affari Esteri Gentiloni. Occorre un intervento finalmente risolutivo della Farnesina per porre fine ad una sofferenza intollerabile di due cittadini italiani, che hanno conosciuto ingiustamente il carcere di quel Paese. Bisogna che tutti facciano capire al ministro e al presidente Renzi che non si può attendere oltre!».

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