Il pm chiede il processo per il banchiere Biasi

La fabbrica fallita in Val Vibrata mette nei guai il vertice della Fondazione azionista di Unicredit. L'accusa per il banchiere (nella foto) è bancarotta. Il pm: ha spostato un macchinario in Turchia per sottrarlo ai creditori

TERAMO. Non è un semplice avviso di garanzia ma una vera e propria richiesta di rinvio a giudizio quella che da tre giorni pesa sulla testa di Paolo Biasi, 72 anni, uno degli industriali banchieri più potenti d'Italia, presidente della Fondazione CariVerona, primo azionista italiano di Unicredit, con una quota del 4,98 per cento. Il sostituto procuratore di Teramo, Bruno Auriemma, dopo avergli notificato un avviso di conclusione delle indagini, per presunta bancarotta preferenziale in seguito al fallimento della Bluterma, azienda di termosifoni di Colonnella, ha formalizzato l'imputazione ed ha chiesto il processo per Biasi, per il fratello Eugenio Giovanni e per l'ex manager pugliese dell'azienda vibratiana, Francesco Salvatore Dattoli.

E' un macchinario dell'azienda - secondo la procura scomparso dopo il fallimento - la chiave dell'inchiesta. L'apparecchio, del valore di 2 milioni di euro, è finito in Turchia, in un altro stabilimento del gruppo. Secondo la Finanza però quel macchinario è stato sottratto all'attivo patrimoniale dell'azienda fallita. Il che, tradotto in parole semplice, significa che non sarebbe stato usato per soddisfare le richieste di tutti i creditori. Paolo Biasi per ora non ha intenzione di dimettersi dal suo incarico più prestigioso cioè quello di presidente della Fondazione Cariverona.

In una nota, diffusa oggi dalla Biasi spa, si legge che l'industriale-banchiere affronterà «con estrema tranquillità il processo di cognizione confidando nel sereno ed equilibrato giudizio della magistratura. Il solo addebito contestato all'ingegnere consiste nell'ipotesi di bancarotta preferenziale», per l'acquisto del macchinario da parte di una società controllata. «Acquisto», continua la nota, «che la società Biasi ha considerato, e tuttora considera, pienamente lecito. Esso avvenne infatti mediante accollo dell'imponente debito residuo verso le banche che vantavano un rilevante credito garantito da ipoteca sull'immobile e, per il resto, tramite compensazione con crediti effettivi e legittimi che Biasi spa vantava nei confronti della cedente».

Ma l'inchiesta teramana rischia di scompigliare le carte in tavola ai vertici della Fondazione Cariverona, il principale azionista italiano di Unicredit. A ottobre sarà rinnovato il consiglio generale della Fondazione ma, a questo punto, potrebbe non essere più così scontata la riconferma al vertice di Biasi, finora data come certa anche grazie all'alleanza di ferro stretta con Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona e azionista di minoranza della Fondazione. I guai di Biasi potrebbero influire addirittura sugli equilibri della stessa Unicredit, al centro di una silenziosa scalata da parte dei soci libici, operazione finora fortemente avversata sul fronte dei soci italiani proprio dall'asse Biasi-Tosi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA