Insieme a Francesco per l’Angelus: «L'emozione di stargli accanto nella stessa stanza»

L’imprenditore teramano Massimiliano Di Stefano svela la telefonata che gli fece al compleanno: “Oggi fai 48 anni, “morto che parla”, giocalo al Lotto e se vinci li diamo ai poveri”
TERAMO. «Pronto? Sono Papa Francesco. Auguri per il tuo compleanno. Sono 48, “Morto che parla”. Giocali al Lotto così se vinci i soldi li diamo ai poveri». E ancora il cellulare che squilla: «Come va con il Covid? State bene? Il lavoro? Bravo perché anche se l’attività è ferma non hai licenziato nessuno». Massimiliano Di Stefano disegna ricordi nell’aria mentre scala il crinale tra cronaca e storia. Perché se Papa Bergoglio ha fatto delle telefonate non un esercizio retorico ma il ritratto della normalità, quest’imprenditore teramano – titolare di una ditta di noleggio mezzi di sollevamento e di lavori edili di Basciano – sa che un attimo può essere un tempo infinito. Le sue parole fermano il tempo e il respiro di chi ascolta perché rimanere nell’appartamento pontificio mentre il Papa recita l’Angelus cancella ogni confine di tempo e spazio. Così come sentirsi citato sempre in piazza San Pietro quale esempio «di bravo imprenditore che non licenzia nonostante il Covid». Mille facce di un diamante che cambia tonalità in continuazione. E nel tempo diventa sempre più prezioso. Di Stefano lo ha incontrato tante volte «ma non le ho contate, sicuramente più di dieci, mentre delle telefonate ho perso il conto»: da solo, con la famiglia, con altri prelati. Per un brindisi con il liquore mate e i pasticcini argentini, ma anche e soprattutto per una merenda con pane e olio delle colline teramane, con il gelato di una storica azienda rosetana, con la porchetta, gli arrosticini. Fino all’ultimo saluto che gli darà oggi in piazza San Pietro. Come si fa con gli amici. Quelli veri.
Come è nato il rapporto con Papa Francesco?
«Nella maniera più semplice. Tanti anni fa gli scrissi una lettera. Io ho una profonda fede che mi guida in tutto quello che faccio e volevo conoscerlo. Gli ho scritto chiedendogli di poterlo incontrare. Certo mai e poi mai avrei immaginato che tra le tante lettere che ogni giorno arrivano al Papa lui avrebbe scelto proprio la mia. Ma con il tempo ho imparato che quando le cose devono accadere succedono e basta. Così è stato con Papa Francesco. Dopo quella lettera ricevetti una sua telefonata. Sarebbe stata la prima di una lunga serie. La prime volte sono andato a trovarlo da solo, avevo timore di presentarmi con altri fosse anche la mia famiglia. Non volevo disturbare. Ho conosciuto i suoi collaboratori e nel tempo è stato lui a dirmi “Ma quando mi fai conoscere la tua famiglia ?” Così in tante visite ho portato mia moglie Giovanna e i miei tre figli Iris, Benedetto Francesco ed Ariel nell’appartamento di Santa Marta. Con loro sembrava un nonno. Una volta ci ha fatto visitare il palazzo pontificio per farci conoscere i suoi segreti. Ricordo, in particolare, quella volta che per far divertire i ragazzi ha fatto vedere loro il cassetto segreto di una scrivania».
Lei con la sua impresa ha fatto lavori di messa in sicurezza in tante chiese, a cominciare dal post-terremoto dell’Aquila. Poi c’è stato il restauro del tamburo della cupola di San Pietro. In quell’occasione cosa è successo?
«L’ho incontrato a Santa Marta e lui si è raccomandato di fare un buon lavoro. “Quello resta per sempre, mi raccomando fate un buon lavoro” mi disse. Perché Papa Francesco era un una persona diretta e schietta e questo voleva dagli altri. Voleva un rapporto diretto, franco. Mi disse “Pensa a un padre di famiglia che si fa costruire una casa che servirà ai suoi figli: deve essere fatta bene perché deve durare nel tempo. Così è per me e per questo devi fare bene il tuo lavoro”».
L’immagine del Papa in una piazza San Pietro deserta per la pandemia ha fatto la storia. In quel periodo cosa è accaduto?
«Mi ha stupito come sempre. Ricordo che l’attività dell’impresa era ferma proprio per il Covid e che proprio perché fermo stavo facendo dei lavoretti in casa. Stavo potando la siepe quando ha squillato il cellulare. Numero privato e ho capito subito che poteva essere solo lui. Mi ha chiesto come stavo, come stava la mia famiglia, come andava il lavoro. Gli ho detto che l’attività era ferma, ma che non avevo mandato nessuno degli operai a casa. Gli ho detto che tra tanti sacrifici il salario c’era per tutti. Lui mi ha risposto dicendo che il lavoro è sacro e di andare avanti. Qualche giorno dopo, in occasione di un Angelus sempre durante la pandemia, l’ho sentito raccontare di un suo amico imprenditore che nonostante la crisi non aveva licenziato nessuno. È stata un’emozione straordinaria non perché ha citato il mio caso, ma perché mi ha fatto capire che nella normalità ci può essere sempre qualcosa di straordinario».
Poi ci sono le telefonate...
«Quelle non le ho mai contate. Sono state veramente tantissime. L’ultima l’anno scorso, esattamente il 5 maggio, il giorno del mio compleanno. Ero in un cantiere fuori Abruzzo quando il telefono ha squillato. Numero privato e ho capito. “Auguri amico mio, oggi è il tuo compleanno. Quanti anni sono?”. Gli ho detto che compivo 48 anni e lui mi ha risposto “Morto che parla”. Giochiamoli al lotto, mi ha detto,”così se vinciamo i soldi li diamo ai poveri”. Non solo schietta, ma anche una persona sempre ironica. Ricordo un’altra telefonata mentre ero a Rimini con alcuni amici per assistere a un campionato di equitazione, lo sport che pratica una delle mie figlie. Mi ha telefonato per chiedermi come stavo, cosa stessi facendo. Gli ho detto che ero insieme a degli amici per una gara sportiva di mia figlia. Gli ho chiesto se gli avesse fatto piacere darci una benedizione e lui pronto “Mettimi in viva voce”. Così ci ha benedetti tutti. Alcuni amici ancora oggi fanno fatica a crederci».
Negli anni ha fatto assaggiare a Papa Francesco un po’ dell’Abruzzo gastronomico. A cominciare dal gelato con tanto di telefonata di ringraziamento alla titolare di una gelateria rosetana.
«Negli incontri a Santa Marta ho portato sempre specialità abruzzesi: il nostro l’olio d’oliva che lui usava sempre per farsi condire l’insalata, la porchetta, il tacchino alla canzanese, gli arrosticini. Il gelato gli piaceva tanto e si lamentava che in Vaticano non ci fossero gelaterie. Così, durante una visita, gli ho portato una mattonella di gelato Magrini di Roseto. Lo abbiamo mangiato come merenda insieme alla mia famiglia. Ha gradito tantissimo e qualche giorno dopo ha telefonato alla proprietaria della gelateria per dire che quel gelato era uno dei più buoni che lui avesse mai mangiato».
L’ultima volta che lo ha incontrato?
«L’anno scorso, ma già non stava bene. Siamo andati a trovarlo con un gruppo di fedeli di Montegallo, nell’Ascolano. L’ho incontrato nella sala Nervi. Ci siamo abbracciati, ma si vedeva già la sua sofferenza fisica che lui non ha mai voluto nascondere».
Dei tanti incontri, qual è quello che ricorderà per sempre?
«Ogni incontro è stato unico e ne sono sempre uscito arricchito da una parola, da un gesto. Sicuramente ho provato un’emozione fortissima quando insieme alla mia famiglia lo abbiamo visto affacciarsi per l’Angelus e noi eravamo proprio dietro di lui. In occasione di quella giornata ci disse di andare presto perché avrebbe voluto farci visitare il palazzo pontificio e così abbiamo fatto. In previsione dell’Angelus pensavamo di dover andare via, ma lui ci ha chiesto di rimanere. Prima si è raccolto in preghiera davanti a una statua di legno della Madonna e poi si è affacciato. Non dimenticherò mai il boato della gente arrivato dalla piazza».
E delle tante conversazioni quale non potrà mai dimenticare?
«Potrei dire tutte perché sono sempre uscito arricchito dalle sue parole. Ma ci sono due chiacchierate che mi resteranno sempre impresse. Una volta mi disse “ Sai, nella vita si cade tante volte, ma bisogna sempre avere il coraggio e la forza di rialzarsi per andare avanti”. E ancora. Durante una telefonata mi trovò proprio nel cantiere di San Pietro. Allora mi disse. “Ma se sei qui fai un salto da me che ci salutiamo”. Io gli risposi “Santo Padre sono sporco di lavoro”. E lui “Tu sei pulito di lavoro”. Quella volta andai a Santa Marta con le scarpe impolverate e la maglietta sporca di calce».
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