Teramo

La madre li accusa: «Hanno minacciato di farmi a pezzi con la motosega». Assolti due fratelli e il loro papà

30 Settembre 2025

Teramo. I tre erano finiti a processo per maltrattamenti sulla donna malata psichiatrica. La sentenza: il fatto non sussiste

TERAMO. In un’aula di tribunale raccontano, da figli imputati, degli anni trascorsi con la madre malata psichiatrica, della terapia farmacologica che non seguiva, dei ricorsi continui ai maghi, delle visioni di cui la donna parlava. Raccontano che né loro né il loro papà l’hanno mai maltrattata, l’hanno mai picchiata. Raccontano dei continui tentativi fatti per farle prendere i medicinali, dell’infanzia e dell’adolescenza trascorsi con una mamma malata.

Tutti e tre sono finiti a processo con l’accusa di maltrattamenti: c’è voluta una lunga istruttoria con numerosi testi per arrivare a una sentenza di assoluzione con la formula più ampia del fatto non sussiste emessa dalla giudice Claudia Di Valerio. Lo stesso pm d’udienza Roberta Roccetti, dopo aver fatto riferimento proprio alla complessità di questioni che toccano malati psichiatrici, aveva chiesto l’assoluzione dei tre con la formula del fatto non sussiste.

La donna, che inizialmente si era costituita parte civile, ha ritirato la costituzione. I tre imputati sono stati difesi dall’avvocato Antonino Orsatti. I fatti iniziano nel 2019 quando la donna si presenta alle forze dell’ordine per denunciare una serie di maltrattamenti da parte dei figli, entrambi di oltre 30 anni, e del marito. Racconta che le avrebbero vietato di andare a casa dei suoi familiari, che le avrebbero impedito di avere un telefono cellulare e che avrebbero disattivato la linea telefonica di casa. Racconta di essere stata più volte maltrattata e picchiata da figli e marito in camera da letto, racconta che il marito avrebbe minacciata di ucciderla e farla a pezzi con una motosega.

La donna, è stato accertato, soffre di psicosi depressiva cronica e disturbo bipolare. Nel corso delle indagini è stata sentita con la formula dell’incidente probatorio e giudicata da un perito capace di intendere e di volere ma solo con adeguata terapia farmacologica. Che, evidentemente, non c’è stata.

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