Scala la parete Nord del monte Camicia senza corde, l’impresa di un 30enne teramano

L’operaio Nicolò Ioannoni Fiore l’ha descritta minuto per minuto su Facebook: «Avevo lasciato l’alpinismo, ho ripreso per domare l’Orco dell’Appennino»
TERAMO. «Ho scavallato, sono sul Camicia, l'Orco mi ha fatto passare. E sono scoppiato in un urlo e in un pianto di liberazione!». Parole piene di entusiasmo, affidate a Facebook, che raccontano l’impresa che il 30enne alpinista teramano di Villa Romita Nicolò Ioannoni Fiore ha realizzato lo scorso 21 settembre, quando da solo, e in arrampicata senza corde, ha scalato la parete Nord del monte Camicia, il rilievo del Gran Sasso considerato una delle montagne più difficili da arrampicare e per questo soprannominato l’Eiger o l’Orco dell’Appennino. Un’impresa che Ioannoni Fiore, che nella vita è operaio, ha descritto minuto per minuto su Facebook e che si ripete dopo 21 anni: prima di lui era riuscita nel 1982 a Marco Florio e nel 2004 ad Andrea Di Donato.
Nove ore e mezza di arrampicata «con lo spettacolo della natura che ha accompagnato ogni mio passo nell’agglomerato di sassi incastrati l’uno sull’altro e una serie di stati d’animo che si sono rincorsi: la paura della morte, i dilemmi su quale canale seguire, il pensiero alla mia famiglia e soprattutto la voglia di farcela in una scalata dove non è concesso il minimo errore». Il giovane ha organizzato tutto da solo, accennando vagamente qualcosa al papà Giovanni con il quale condivide la passione per la montagna e dopo un duro allenamento.
«A casa mia si vive di montagna e sin da adolescente ho iniziato ad arrampicare condividendo tutto con papà», prosegue, «per me la montagna è un modo per sentirmi vivo, di vivere il presente e stare davvero con se stessi. Quest'estate con il mio fratello di cordata Leonardo Zuccarini abbiamo percorso tutte le vie leggendarie del Paretone del Corno Grande e quando mi sono sentito pronto ho deciso di affrontare “a tu per tu” l’Orco». Così all’alba del 21 settembre è partito per la scalata al Camicia da Castelli.
«Ho capito subito che non avevo mai affrontato qualcosa di simile», continua a raccontare, «ho preso la via classica, ma salendo mi sono ritrovato a esplorare luoghi immacolati dove la difficoltà aumentava. A un certo punto mi sono tagliato tutti i punti di ritirata e sono stato obbligato a proseguire su una linea dove la tenuta era improponibile. Mancavano 50 metri per scavallare sulle balconate: 50 metri al mondo dei vivi, 50 metri per tornare in vita». L’ultima parte dell’arrampicata è stata la più difficile. «Ero esausto, stavo per cedere alla paura, alla stanchezza che mi stava togliendo la lucidità, allo stress accumulato. In un attimo è come se tutta la mia vita fosse passata davanti agli occhi e ho pensato a papà: mi sarebbe dispiaciuto troppo non rivederlo per un mio atto egoistico, non potergli dire ti voglio bene, una frase troppo assente nei nostri discorsi. In lui ho trovato la forza per lo sprint finale».
Un risultato alpinistico degno di nota per il giovane iscritto al Cai di Teramo, ma soprattutto un’impresa che corona il suo ritorno all’alpinismo dopo un lungo periodo di stop legato alla perdita del caro amico ed esperto alpinista Pino Sabbatini, scomparso nel 2014 in un incidente sul Corno Piccolo insieme al collega pescarese David Remigio. «La scomparsa di Pino, grandissimo amico e maestro, mi aveva generato un distacco dalla montagna», confida commosso Ioannoni Fiore, «ma tre anni fa è tornato in me ancora più forte il richiamo dell’adrenalina e ho ripreso a scalare a pieno ritmo». L’arrivo sulla balconata del Camicia che apre alla piana di Campo Imperatore è stato «l’emozione più grande della mia vita», dice ancora Nicolò, «ad attendermi papà, l’alpinista Carlo Partiti e due amici che avevo avvisato poco prima dell'arrivo: l’avessero saputo, non mi avrebbero fatto partire da solo. Ci siamo abbracciati forte», conclude, «e lì ho dedicato la mia salita a papà e ringraziato Dio per essere stato al mio fianco e le mie gambe per aver seguito il mio cuore».
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