L’ideatore di Arrostiland: «È un racconto collettivo sulla nostra regione»

Fausto Di Nella è l’ideatore del format che muove i fili dell’organizzazione. Sulla scelta per quest’anno: «Moscianesi bravissimi e la logistica è ottima»
MOSCIANO SANT’ANGELO. Per lui, che lo ha inventato, è il «racconto collettivo» della cultura contemporanea abruzzese. Chiamalo «racconto»: ogni anno il festival creato da Fausto Di Nella raccoglie decine di migliaia di persone da tutta la regione e oltre per festeggiare insieme il Lunedì dell’Angelo, in una giornata all’insegna delle grigliate e del divertimento. Per la decima edizione, che sarà il 6 aprile 2026, Di Nella ha scelto Mosciano Sant’Angelo. Dice che è stata una decisione che ha preso «dopo averne parlato a lungo con gli storici “capigregge “», i leader dei gruppi attraverso i quali ci si iscrive all’evento, ma è lui che, alla fine, ha sempre l’ultima parola.
Di Nella, Arrostiland è una teocrazia con lei al vertice?
«Macché! Io sono soltanto quello che spesso si prende gli insulti da chi non accetta il risultato finale. Non si rendono conto che per me è l’8 dicembre è sempre un giorno difficilissimo».
Alla fine, però, è lei che prende le decisioni.
«L’organizzazione è fatta da una galassia di persone che sono consapevoli del proprio ruolo e lo rispettano. E poi quest’anno abbiamo coinvolto come mai prima d’ora i capigregge, che hanno partecipato ai quattro sopralluoghi e con cui mi sono confrontato quotidianamente. La decisione di Mosciano è stata presa all’unanimità, anche se è stato difficile scegliere. Gli altri paesi ci hanno messo in grande difficoltà».
Cosa vi ha convinto di Mosciano?
«Diciamo che dopo l’esperienza dell’anno scorso, in cui abbiamo avuto una partecipazione molto alta (almeno 25mila persone, ndr) abbiamo dovuto a dare attenzione ad aspetti che magari prima sottovalutavamo. Mi riferisco alla logistica, alla gestione del traffico, del flusso e deflusso di persone. Mosciano li ha soddisfatti tutti».
C’è chi dice che organizzare Arrostiland nel Teramano non sia molto coerente con la storia degli arrosticini, visto che non sono nati lì.
«Non smetterò mai di dirlo: gli arrosticini per noi sono un mezzo, non un fine. Non abbiamo mai invitato ad Arrostiland qualche rappresentante della filiera per decantare il prodotto. L’arrosticino è la nostra tradizione, tendenzialmente chi viene li mangia, ma da noi arrivano anche vegetariani, vegani. Chiunque voglia».
E allora che cos’è Arrostiland?
«È il festival della contemporaneità abruzzese. Io lo vedo come un grande contenitore che accoglie tutto quello che la nostra regione offre oggi, dal cibo alla musica, fino all’arte».
Quanto è complicato organizzare l’evento?
«Parecchio, soprattutto per i Comuni che li ospitano. Io li avviso sempre della fatica che significa Arrostiland. Il sindaco di Torre de’ Passeri, dove si è svolta la scorsa edizione, lo sa bene: dice che la festa è stata una delle giornate più belle per il paese, ma si ricorda ancora benissimo gli sforzi, le ansie, le crisi di nervi che costa arrivare fino al traguardo».
Del percorso fatto quest’anno, fino ad adesso, è soddisfatto?
«Per me abbiamo fatto il processo di scelta migliore di sempre. Le candidature, il sondaggione, i video e poi i sopralluoghi: tutto perfetto. Se riusciamo a organizzare una festa come quella a Torre de’ Passeri, potrò dire di aver realizzato ciò che avevo in mente qualche anno fa e sarò soddisfatto».
Provo a leggere tra le righe: sta dicendo che questa potrebbe essere l’ultima edizione?
«Solo se non piove, perché altrimenti per l’edizione perfetta dovremo aspettare il 2027(ride, ndr). A parte le battute, con Mosciano arriviamo in cifra tonda, 10 anni sono tanti. Dopo si potrebbe pensare di tornare alle origini, ai piccoli borghi. Vedremo, dietro Arrostiland ci sono meccanismi molto complessi».
Il ricordo più bello che conserva di questi dieci anni di Arrostiland?
«La proposta di matrimonio a cui abbiamo assistito. Il fatto che per quell’uomo Arrostiland fosse il luogo adatto per chiedere alla sua compagna di sposarsi mi ha colpito moltissimo: gli ha dato ancora più significato di quanto gliene davamo noi».
E il ricordo più brutto?
«Non direi ricordo più brutto, ma sicuramente nelle ultime due settimane prima dell’evento c’è sempre almeno un giorno in cui i nervi arrivano a fior di pelle. Problemi dell’ultimo minuto, rispetto delle norme, sicurezza: roba che non ti fa dormire la notte. Alla fine, però, tutto si risolve sempre per il meglio».

