Mobbing sul lavoro ad una vigilessa, condannato il Comune: dovrà risarcirla con 44mila euro

Si chiude con una sentenza favorevole all’ex agente di polizia locale la causa intentata contro l’ente locale che, adesso, salvo ricorso in appello, dovrà riconoscere come debito fuori bilancio le somme stabilite dal magistrato
SANT’EGIDIO ALLA VIBRATA. Il Comune di Sant’Egidio alla Virata dovrà risarcire la vigilessa che ha accusato l’ente di averla mobbizzata. Il giudice del lavoro del tribunale di Teramo, Giuseppe Marcheggiani, così si legge nella sentenza, «accoglie parzialmente il ricorso e condanna il Comune di Sant’Egidio a risarcire i danni non patrimoniali subiti liquidati in 44mila 729 euro oltre interessi di mora da calcolare in base al tasso legale sul capitale indicato a partire dalla data del 1° gennaio 2023 e sino alla data della presente sentenza, da cui maturano, sulla somma comprensiva di capitale ed interessi moratori e gli interessi legali. Condanna parte resistente (Comune di Sant’Egidio) alle spese di giudizio che liquida in 5mila 388 euro per compensi oltre spese generali nella misura del 15% dell’importo dei compensi difensivi. Pone, definitivamente, a carico del Comune di Sant’ Egidio, il pagamento delle spese della Ctu».
Si chiude con una sentenza favorevole all’ex agente di polizia locale Loredana Camaioni (ora in servizio ad Ascoli Piceno) la causa intentata contro l’ente locale che, adesso, salvo ricorso in appello, dovrà riconoscere come debito fuori bilancio le somme stabilite dal magistrato. La vigilessa, nel giudizio incardinato nel 2019, aveva chiesto al giudice di accertare e dichiarare che dal 2010 fino al suo trasferimento volontario ad Ascoli è stata vittima di una condotta vessatoria posta in essere dal Comune di Sant’Egidio nei suoi confronti. Un caso di mobbing di cui l’agente di polizia locale ha dimostrato essere stata vittima da quando ha svolto alcuni accertamenti, per essersi opposta ad alcuni ordini impartiti e per non aver accettato l’incarico di comandante facente funzione perché mancavano gli atti formali con tutti i rischi del caso. Da allora, l’agente si è rivolta alla magistratura più di una volta con esiti a lei favorevoli fra cui quello del giudice del lavoro che, ora, le ha dato nuovamente ragione.
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