Non ha violentato la moglie: finì in carcere, lo Stato risarcisce 

Un artigiano teramano 37enne ottiene 24mila euro dopo l’assoluzione in primo e secondo grado È rimasto per oltre un mese in cella e per cinque agli arresti domiciliari prima di tornare in libertà

TERAMO. Un mese e dieci giorni in carcere e 120 giorni di arresti domiciliari da innocente basterebbero per non dimenticare. Ma quello che ancora brucia, e che nessun risarcimento per ingiusta detenzione potrà mai riparare, è l’allora sospensione della responsabilità genitoriale e un anno di incontri protetti con la figlioletta: padre e piccola con l’assistente sociale. Difficile da spiegare a una bambina di nemmeno dieci anni. Difficile raccontare del papà finito in carcere con l’accusa di aver violentato e maltrattato la moglie.
È durata sei anni l’odissea di un artigiano albanese di 37 anni da decenni residente a Teramo che dopo essere stato assolto in primo grado e in secondo grado con la formula più ampia del fatto non sussiste ha ottenuto dalla Corte d’appello 24mila per l’ingiusta detenzione. Anche se dopo due assoluzioni e un’ingiusta detenzione, i sospetti, le insinuazioni restano addosso come un vecchio vestito.
L’uomo, difeso dall’avvocato Antonino Orsatti, viene arrestato nell’agosto del 2015 dopo la denuncia della moglie. Nell’interrogatorio di garanzia parla e si difende raccontando di tensioni nel rapporto coniugale ma escludendo violenza e maltrattamenti. Passa 163 giorni in carcere e 120 agli arresti domiciliari. Poi il rinvio a giudizio e il processo di primo grado con l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Sentenza confermata in secondo grado. «Risulta indubitabilmente dagli atti», si legge nell’ordinanza per l’ingiusta detenzione firmata dai giudici della Corte d’appello (collegio presieduto dalla presidente Fabrizia Francabandera, a latere Alfonso Grimaldi e Raffaella Gammarota, « che la misura cautelare applicata dal gip trovò ragione nella valutazione di gravità di un compendio indiziario consistente fondamentalmente nelle dichiarazioni accusatorie fornite dalla persona offesa e, su riscontri indiretti esterni che furono poi, all’esito di una più approfondita valutazione del giudice del dibattimento, considerati privi di attendibilità. Vero è, piuttosto, che il medesimo già nel corso dell’interrogatorio reso al gip non si limitò a proclamarsi estraneo alla vicenda ma, onestamente, ammettendo le tensioni del proprio rapporto coniugale e la gelosia dalla quale egli era animato ricostruì i singoli episodi rilevanti, fornendo una rappresentazione che venne condivisa dal giudice del dibattimento». E aggiungono: «Nemmeno è possibile imputare all’uomo alcunchè di rilevante per ciò che attiene la condotta ante delictum, quali comportamenti equivoci o inappropriati che possano aver contribuito a fondare l’apparenza di un quadro indiziario che, diversamente sarebbe stato altrimenti valutato, non potendosi invero rimproverare allo stesso le emerse espressioni di conflittualità comuni a qualsiasi situazione di crisi coniugali».
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