Non versa 500mila euro di Iva: «C’è la crisi», il giudice di Teramo lo assolve

Il caso di un imprenditore edile teramano che attende ancora il pagamento dei lavori del terremoto. Ha saldato i debiti con i suoi dipendenti, ma è finito a processo per l’evasione dell’imposta

TERAMO. Dalle pagine dei giornali alle aule di tribunale: perchè quella “evasione di sopravvivenza” coniata dai cronisti per raccontare le storie di imprenditori stritolati dalla crisi economica oggi sembra avere il suo riconoscimento giuridico nelle sentenze di assoluzione che sempre più spesso raccontano scelte di vita. Come quella dell’imprenditore edile teramano messo in ginocchio da tanti crediti non riscossi dallo Stato che tra il pagare i suoi dipendenti o 500mila euro di Iva ha scelto di fare la prima cosa. E’ finito a processo per il mancato versamento dell’Iva, ma ieri mattina è stato assolto dal giudice Enrico Pompei con la formula del fatto non sussiste «perchè del tutto estraneo alla volontà del soggetto». Che, raccontano le memorie presentate dal suo avvocato Ernesto Picciuto, ha fatto tutto quello che poteva fare dal momento in cui la pubblica amministrazione ha cominciato a non pagare.

Lui piccolo imprenditore edile con un’impresa di movimento terra nel 2009, l’anno del terremoto, ha iniziato a lavorare all’Aquila ma dopo qualche tempo i crediti vantati nei confronti degli enti pubblici si sono accumulati diventando macigni ai tempi della crisi. Lui ha provato a resistere: ha scelto di pagare i dipendenti e di fare un piano di rateizzazione con Equitalia di tutti i debiti. E’ andato avanti fin quando ha potuto, poi si è fermato. Nel frattempo sono arrivate due istanze di fallimento sui cui il giudice delegato non si è ancora pronunciato e lo Stato, che fatica a saldare i propri debiti, ha bussato a cassa. L’uomo è finito sotto accusa per il mancato versamento dell’Iva per gli anni 2010-2011:circa 500mila euro. Ma è stato assolto. Per conoscere le motivazioni della sentenza bisognerà aspettare i sessanta giorni annunciati per il deposito delle motivazioni, ma appare evidente che il magistrato ha riconosciuto che dietro il mancato versamento dell’imposta non c’è il dolo, ovvero la volontà di tenersi i soldi in tasca o nelle casse dell’azienda, ma l’impossibilità di farlo. E’ mancato quello che, per il codice, è l’elemento psicologico del reato. Il processo penale impone di valutare e provare la volontarietà dell’omissione che evidentemente nel caso specifico per il giudice non sussiste proprio a causa della crisi finanziaria in cui l’imprenditore si è trovato anche e soprattutto in conseguenza di condotte di terzi inadempienti nei suoi confronti. Un fatto dimostrato, dati alla mano, dallo stesso imprenditore che ha accompagnato la sua difesa da una voluminosa documentazione.

Anche la sentenza del giudice Pompei si inserisce in quel filone giurisprudenziale che si va ormai consolidando e che attribuisce valore predominante all’incidenza della crisi economica, soprattutto per i reati che si configurando in tale contesto. Che è quella di una crisi epocale che ridisegna anche i confini giuridici. Perchè è di qualche giorno fa il pronunciamento della terza sezione della Cassazione che ha annullato la condanna di un imprenditore catanese per il mancato versamento dell’Iva.

I giudici della Suprema Corte l’hanno annullata sostenendo che «nella sentenza di secondo grado non era stata valutata la specifica situazione che aveva portato l’uomo ad evadere: perchè l’imprenditore sapeva di dover pagare ma non lo ha fatto perchè materialmente obbligato a scegliere tra gli stipendi e l’imposta».

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