Parenti, amici e vicini in aula: «Con il figlio era padre padrone»

19 Novembre 2024

L’ex capostazione di 83 anni ucciso dal congiunto dopo una furiosa lite. I testi della pubblica accusa: «Rapporti sempre molto tesi, Francesco terrorizzato fin da piccolo. Era come tenuto al guinzaglio»

TERAMO. Le voci in un’aula di tribunale riannodano il filo della memoria e della cronaca. E in un processo per omicidio quelle dei testi fermano il tempo. Succede ancora davanti alla Corte d’assise che deve giudicare il 49enne Francesco Di Rocco, studente universitario fuori corso reo confesso da subito dell’omicidio del papà colpito con 92 coltellate e pronto a dire da subito: «Era un padre padrone».
La figura della vittima, l’ex capostazione 83enne Mario Di Rocco, emerge nei racconti di familiari, amici e vicini di casa nella loro veste di testimoni citati dalla Pubblica accusa rappresentata dal m Monia Di Marco. Comincia la zia dell’imputato, la sorella della mamma morta improvvisamente nel 2022. Racconta che quando la sorella aspettava il figlio tornò a casa dai genitori con dei lividi. «Mio padre e mia madre le dissero che non doveva tornare dal marito che aveva modi aggressivi, che doveva rimanere con noi e che tutti l’avremmo aiutata a crescere il bambino. Poi venne Mario e la riportò a casa». Quando la sorella è morta lei per un anno si è trasferita a casa di cognato e nipote, nell’appartamento sopra la stazione ferroviaria dove un anno fa Mario è stato ucciso dal figlio al termine di una lite. «I rapporti erano freddi e rigidi tra di loro, non erano affettuosi. Mio cognato sbatteva i pugni sul tavolo e diceva qui si fa quello che dico io. Francesco non aveva amici e non usciva. Se il padre diceva una cosa lui la faceva e basta».
L’anziano collega di lavoro del capostazione racconta di quando Francesco piccolo giocava con il figlio: «Era terrorizzato dal fatto che i giocattoli si potessero rompere. Con il tempo i rapporti in famiglia sono diventati ancora più tesi e Mario era sempre molto rigido con il figlio. Voleva imporre il suo modo di fare. Francesco è sempre stato buono, non era in grado di schiacciare una formica. In quella famiglia c’era molta tensione anche con la moglie». Nelle parole dell’amico studente dell’imputato gli anni post-liceo. «Ci siamo conosciuti alla facoltà di veterinaria», racconta, «e sono convinto che anche questa fosse stata una scelta imposta dal padre. Francesco, anche se aveva 23, 24 anni, doveva rientrare a casa a mezzanotte, massimo all’una. Non poteva frequentare chiunque. I pochi amici che aveva dovevano avere l’approvazione del padre. Era un padre padrone, molto autoritario. Autoritario anche con la moglie che, almeno è quello che ho visto io quando alcune volte sono andato a cena, rimproverava per tutto. Francesco usciva una volta su 10 perché aveva paura che magari facendo un ritardo il padre potesse prendersela con la madre. Ripeteva sempre che il padrone era lui, era come se tenesse il figlio al guinzaglio. Francesco lo chiamava “mister”. Non scorderò mai un giorno d’estate che abbiamo fatto una passeggiata in montagna e si è fatto tardi. Invece che alle 18 siamo arrivati alle 20. Francesco era terrorizzato. Io l’ho accompagnato in casa e il padre gli ha urlato che in quella casa si faceva come diceva lui. E Francesco non ha mai reagito». Tra i testi anche la titolare del ristorante che si trova alla stazione: «Quando la mamma è morta io e miei collaboratori siamo saliti a fare le condoglianze e Francesco mi ha detto: “Non poteva morire lui al posto della mamma?”. Francesco usciva solo la sera tardi, quando il padre dormiva. A quell’ora lo si vedeva nell’atrio della stazione. Dopo la morte della mamma la situazione è precipitata. Francesco lo si vedeva nervoso, agitato. Una volta l’ho sentito parlare da solo. Non aveva mai un euro in tasca. Il caffè lo offrivamo noi. Il padre, invece, veniva tutte le mattine con gli amici a fare colazione. Una volta, quando davanti alla stazione ferroviaria le macchine potevano parcheggiare, Mario non voleva questo. In molti lo accusavano di bloccare le serrature delle vetture». Si torna in aula a dicembre con l’esame dell’imputato difeso dall’avvocato Federica Benguardato.
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