Parolisi, la procura scopre i messaggi segreti ai trans

Dal computer del marito di Melania spuntano le chat con il nome cifrato "corpo a corpo". Erano già stati cancellati dalla memoria del pc, ma gli esperti dei carabinieri sono riusciti a recuperarli
TERAMO. Il sospetto adombrato nelle 185 pagine di ordinanza del secondo arresto prende corpo in una relazione dei carabinieri e la parola trans compare ufficialmente nell'inchiesta sull'omicidio di Melania Rea. Il computer di Salvatore Parolisi, l'uomo imputato di omicidio aggravato, svela che il caporal maggiore chattava con alcuni trans usando il nickname "Corpo a corpo".
L'accertamento tecnico sulla memoria computer, disposto dalla procura teramana, entra nei dieci faldoni di atti e perizie che raccontano come, secondo i pm, Salvatore Parolisi abbia ucciso la moglie colpendola con 35 coltellate nel bosco di Ripe. Per gli inquirenti il pc non svela «quel qualcosa di torbido, di inconfessabile, di non necessariamente penalmente rilevante» di cui il gip Giovanni Cirillo parla nell'ordinanza d'arresto bis ipotizzando nuovi moventi per l'omicidio.
Ai pm Davide Rosati e Greta Aloisi le nuove rivelazioni servono per puntellare ulteriormente l'impianto accusatorio che sostiene il movente passionale, laddove le indagini rivelano un matrimonio ormai in frantumi, finito sotto i colpi di bugie e tradimenti. Non solo quelli con l'amante soldatessa con cui Parolisi comunicava su Facebook con il nome "Vecio alpino", ma anche quelli virtuali con i trans con cui, dicono gli esperti dei Ros, il caporal maggiore chattava con il suo computer portatile. Dalla sua abitazione, ma anche dalla Clementi di Ascoli, la caserma in cui il marito di Melania addestrava reclute donna. Contatti e messaggi cancellati che gli esperti del Ros hanno ripescato nella memoria del pc.
In un'inchiesta così complessa non ci si può permettere di tralasciare nulla: la procura lo sa e per questo prima di chiedere il giudizio immediato ha ricomposto l'intricato puzzle rimettendo insieme tutti i tasselli. A cominciare dal telefonino di Melania, uno degli indizi chiave del caso. I periti hanno accertato che il 18 aprile, giorno del delitto, il cellulare della vittima ha agganciato solo la cella di Ripe e non quella di Colle San Marco. Non solo. La perizia ha stabilito che quel telefonino è stato spostato: non dall'assassino, ma da chi ha scoperto il cadavere. Forse lo stesso telefonista, rimasto anonimo, che nel primo pomeriggio del 20 aprile ha dato l'allarme da una cabina telefonica. Secondo i tecnici il telefono della vittima, quando ha ricevuto le chiamate e gli sms dell'amica Sonia, non era nel punto in cui è stato ritrovato ma dietro alla casetta di legno che ha attutito il passaggio delle onde elettromagnetiche e quindi ha impedito all'apparecchio di essere raggiungibile. Ed è qui che è caduto alla vittima nel momento in cui è stata aggredita alle spalle.
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