«Ripresa solo se le banche assistono le imprese»

10 Aprile 2020

Il giudice delegato ai fallimenti Cirillo analizza il dopo emergenza sanitaria: «Nei prossimi mesi ci sarà un maggiore ricorso alle procedure concorsuali»

TERAMO. Ormai è opinione consolidata che, seppure apparentemente meno drammatica dell’emergenza sanitaria, anche quella economica rischia di evolvere verso uno scenario dai contorni gravissimi. Quale futuro dopo il “lockdown”?

Giovanni Cirillo da fine 2013 è giudice delegato ai fallimenti al tribunale di Teramo ed è da questo osservatorio che il dopo prende forma nella sua analisi.

Al contagio virale può seguire un contagio economico assai pericoloso, con effetti sul sistema imprenditoriale, l'occupazione, i bilanci delle banche, la propensione al credito e il debito pubblico. Dal suo osservatorio che ripresa intravede soprattutto a livello locale?
«Lo Stato sta intervenendo nell’economia e nel sociale con massicce iniezioni di liquidità. Ma lo Stato ha anche un ruolo fondamentale nell’economia quale garante dei prestiti che gli intermediari finanziari, le banche, fanno alle imprese. Sono stati incentivati prestiti a breve-medio termine in favore delle piccole e medie imprese per il tramite del fondo centrale di garanzia e di Sace Spa, finanziaria assicurativa controllata al cento per cento dalla Cassa depositi e prestiti. La ripresa sarà possibile solo se le banche, garantite dallo Stato, assisteranno le imprese con forza e se lo Stato e la Regione interverranno finanziando opere pubbliche ed infrastrutturali anche nel nostro territorio. Nella provincia di Teramo è il settore dell’edilizia a soffrire di più, in quanto alla stagnazione del settore che va ormai avanti da qualche anno va aggiunto che i lavori pubblici qui scarseggiano, mentre in altre province abruzzesi questi ultimi sono stati avviati in grande quantità, consentendo, sia pure per ragioni contingenti (ad esempio il sisma nell’Aquilano), di far ripartire l’attività. Dunque in sintesi a mio parere la ripresa sarà possibile solo se le banche, garantite dallo Stato, assisteranno le imprese con coraggio e se lo Stato e la Regione interverranno finanziando opere pubbliche ed infrastrutturali anche nel nostro territorio, che pure ne ha un gran bisogno».

Interventi dell'Unione Europea ancora tutti da definire, governi nazionali, come quello italiano, che stanno intervenendo concedendo dilazioni e sospensioni di scadenze fiscali e altri debiti, prevedendo forme di supporto finanziarie eccezionali direttamente alle imprese o ai lavoratori, cercando di evitare strette creditizie. Sono misure sufficienti?
«Gli effetti della pandemia hanno di fatto aggravato non soltanto la situazione patrimoniale delle imprese già in crisi al momento della sua esplosione, ma hanno anche trasformato imprese sane in imprese in difficoltà. E’ una vera e propria crisi economica e il primo riflesso è la mancanza di liquidità. Dal punto di vista del diritto civile e concorsuale vanno sospesi gli obblighi in tema di riduzione del capitale sociale almeno sino alla fine del 2020. Vanno incentivati i cosiddetti finanziamenti interni all’azienda, cioè quelli dei soci, derogando al principio della postergazione dei rimborsi, al fine di incentivare questa fonte di flussi di liquidità e da favorire così anche l’afflusso dei capitali privati. Per le imprese in concordato dovrà essere previsto lo slittamento di tutti i termini perentori ed anche la possibilità di riformulare le proposte di concordato».

Misure che sospendano o limitino le procedure concorsuali, o comunque incidano sulla responsabilità e i rischi legati alla crisi d'impresa, sono controverse anche perché distinguere non è facile. Ma in questo contesto che soluzioni potrebbero essere applicate?
«Correttamente l’entrata in vigore dell’importante istituto dell’allerta, diretto a provocare l’emersione anticipata della crisi delle imprese, è già stata differita con il decreto legge 9 del 2020. Ora è assolutamente necessario disporre il rinvio della entrata in vigore dell’intero Codice della crisi d’impresa, attualmente prevista per il 15 agosto 2020, perché i tribunali a quella data saranno ancora in piena turbolenza e perché la filosofia di questo Codice non è in linea con il momento di crisi economica. E’ in fase di approvazione un disegno di legge che prevede la improcedibilità dei ricorsi per fallimento dal 9 marzo sino al 30 giugno 2020, ma non basta, perché da questa data in poi il problema dei ricorsi si riproporrà. La soluzione può essere ravvisata nella applicazione estesa da parte dei tribunali della figura giuridica della causa di forza maggiore, come causa giustificativa della insolvenza».

Appare evidente che vanno anche considerate le conseguenze di un enorme incremento delle procedure concorsuali sui tribunali, notoriamente già in affanno, che potrebbero venire sepolti dal contenzioso che inevitabilmente seguirà la recessione. Come muoversi meglio?
«Gli interventi normativi non impediranno che i tribunali vengano raggiunti nei mesi a venire da un numero progressivamente maggiore di ricorsi per fallimento. Nel campo della giustizia si profila la possibilità di fare ricorso con profitto alle udienze virtuali, al contraddittorio a distanza, alle camere di consiglio da remoto. In questo senso il Dgsia, l’ufficio del Ministero che si occupa dell’automazione dei tribunali, ha svolto un lavoro eccellente in tempi brevissimi. In questo modo una soluzione, nata come tampone per far fronte a una pandemia, potrebbe rappresentare, dopo il giusto periodo di pratica sul campo, una soluzione stabile e durevole a regime, idonea a fronteggiare l’aumento del carico di lavoro dei tribunali fallimentari».
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